Pietro Ichino se ne va con Monti. Il PD, ce lo ripetono da 20 anni, è vittima dell’estremismo della CGIL e deve ancora fare troppe abiure della sua storia per essere una vera forza liberaldemocratica.
Quindi Ichino, sarebbe nel pieno diritto, di prendere atto della deriva del partito che lo ha portato in parlamento e fare le sue scelte. A chi scrive, in quanto elettore alle primarie del centro-sinistra, non sembra così facile né lineare.
Pietro Ichino, parlamentare del PD, sostiene alle primarie Matteo Renzi, del quale è forse il più autorevole maître à penser. Lo schierarsi e votare nelle primarie comportava però contestualmente l’impegno ad appoggiare il vincitore chiunque esso fosse. E il vincitore è stato Pierluigi Bersani. È un impegno morale e politico importante, soprattutto per un parlamentare.
Ichino prende questo impegno col PD ma, nei ritagli di tempo, scrive il programma di Mario Monti, che oggi si presenta come candidato alternativo a quel Pierluigi Bersani che Ichino si era appena impegnato ad appoggiare. Pugnala così alle spalle il candidato del partito del quale è autorevole esponente, scoprendolo sul fianco destro, e ridicolizza l’impegno liberamente preso appena poche settimane prima.
Solo alla fine Ichino esce dal partito quando la «salita in politica» di Monti è cosa nota e quando le primarie parlamentari (meccanismo complesso e discutibile ma potentissimo) avrebbero messo in chiaro l’estraneità di Ichino alla tradizione socialdemocratica del PD. Se le primarie non ci fossero state forse il nostro agente all’Avana non se ne sarebbe andato. Eppure tra l’Agenda Monti e il Programma Bersani le differenze sono sfumature e l’impalcatura liberaldemocratica ed europeista è presente in entrambi alla stessa maniera. Dovrebbero dolersene gli elettori di sinistra, non quelli come Ichino che pretendono, dai loro posti di potere, dal parlamento e contando quotidianamente della grancassa dei giornali mainstream di far slittare il PD sempre più a destra.
Ichino è accomunato a Monti, il “candidato anomalo”, come è stato chiamato dal Corriere della Sera, colui che se vincerà governerà e se perderà avranno perso altri, dall’ostinazione dogmatica nel presentare il neoliberismo come una legge di natura e non come un’opzione politica tra tante. Ichino (in questo Monti ha ben altra coerenza e autorevolezza), come i vari Giavazzi e Alesina, senza parlare dei fondamentalisti come Zingales, hanno continuamente infangato il campo per imbonire l’opinione pubblica facendo credere che il liberismo sia di sinistra. Non ci è riuscito e va via. L’uscita dal PD è allo stesso tempo un elemento di chiarezza e una prova di slealtà.