Juan Luís Cebrián si è sempre atteggiato a mito del giornalismo spagnolo ma non è l’Eugenio Scalfari spagnolo perché lo spessore giornalistico è incomparabile. Regge invece, ma chi ne esce meglio è il quotidiano italiano, il parallelismo tra El País e La Repubblica: regge per i tempi di fondazione, il formato e, soprattutto per il traghettamento delle classi medie di sinistra, i giovani nati negli anni ’40 e ’50 soprattutto, verso i “valori” del mercato e del consumismo come fine ultimo della vita.
Figlio di un gerarca della peggior stampa franchista, direttore di Arriba, l’organo falangista, fondò sì il giornale simbolo della transizione spagnola ma dall’88 (prima della caduta del muro) si occupa soprattutto di soldi, nel gruppo Prisa. Questo usa spregiudicatamente il giornale come velina per i suoi affari.
Per 20 anni e più, saltando come Tarzan da Felipe González a José María Aznar (del quale fu complice nel diffondere menzogne il giorno delle bombe di Atocha), divenendo critico asperrimo del miglior Zapatero e compagno di merende del peggiore, e infine oggi con Mariano Rajoy, è stato l’anello di congiunzione tra politica e finanzieri avvoltoi. Pensava di condurre il gioco e invece il gioco era condotto da altri e oggi El País è nelle mani di brutte bestie come Telefónica, il Banco Santander, la HSBC (quella banca che a Buenos Aires nel 2001 faceva sparare sui manifestanti ammazzandone almeno due) e gli speculatori puri del fondo d’investimento Liberty.
Adesso Cebrián siede su una montagna di 4 miliardi di debiti e licenzia 149 giornalisti. Qualcuno, vale per tutti, non solo per El País, si lamenta del perché la credibilità dei giornali sia caduta così in basso?
Più info sulla crisi di El País qui.
PS Ringrazio Juan Luís Cebrián per avermi voluto a El País 17 anni fa dandomi l’opportunità di vaccinarmi in pochi mesi dal mito della grande stampa progressista con il quale ero cresciuto.