Morti operai, morti lavoratori di ogni paese e religione, uniti dal sisma che ha colpito l’Emilia. Il terremoto uccide mori e cristiani, cristiani, musulmani e laici, bianchi, neri, italiani e no, tutti lavoratori e rende tutto vacuo. Che senso avevano le infami polemiche razziste per impedire ad alcuni di pregare il loro dio?
Che senso avevano quelle sui migranti che rubavano il lavoro agli italiani? Quelle per cacciar via i “loro” bambini dalle “nostre” scuole? Quegli operai venuti dall’India, dal Marocco, da tanti altrove, sono morti lavorando gomito a gomito con i loro fratelli italiani e il problema semmai è che non si sa ora se metterli –tutti insieme- nel novero delle morti bianche o in quello del terremoto. Il lavoro, quello quotidiano, quanto è stato svilito in questi anni, svillaneggiato, insultato dal modello economico, dal ricatto globalizzante, dalla finanza, dalle Milano e forse anche dalle Mirandola da bere perché tanto in fabbrica c’erano altri ad andarci. Fabbriche costruite sul nulla, fabbriche di cartapesta perché i soldi ormai si fanno altrove, i soldi si fanno con i soldi, non col lavoro anche se qualcuno in fabbrica deve pur sempre andarci e pure creparci se fa comodo.
Adesso d’improvviso eccoli gli operai, mori e cristiani, a mandar avanti l’Italia. Ed eccola, d’improvviso, quest’Italia multietnica, il paese reale così diverso dal paese triviale della politica e della televisione. È l’Italia vera che si guarda sgomenta e scopre che le ferite, la morte, il dolore sono uguali per tutti. E scopre che solo tutti insieme, mori e cristiani, facendo leva sugli operai, ritrovando gli operai l’Italia può rialzare la testa.
O volete forse discriminare qualcuno stanotte per un piatto caldo o per un posto in tenda?