Nel suo studio a Palazzo Chigi, l’allora Presidente del Consiglio Aldo Moro, chiese al suo segretario particolare: “Quanti abitanti ha Malta?”
Era l’epoca nella quale gli incrociatori sovietici ormeggiavano nel porto della Cottonera e i marinai russi sorseggiavano birra Cisk e si ustionavano al sole tra le fortificazioni dei cavalieri.
Dom Mintoff, che tutti chiamavano Il-Perit e oggi ha 92 anni, giocava d’azzardo sul tavolo della guerra fredda, flirtando con l’Unione Sovietica, come poi avrebbe fatto con Gheddafi, per ottenere migliori condizioni dagli occidentali. Il segretario di Moro non sapeva quanti abitanti avesse l’arcipelago. Ma la risposta che buttò lì non era lontana dalla realtà: “più o meno come Bari, Presidente”.
Moro rifletté un attimo e poi disse: “allora possiamo pagare”.
Il Kòsovo indipendente, anzi la Kosòva, visto che la lingua ufficiale è l’albanese, è uno Stato che deve la propria indipendenza, anzi la propria invenzione, agli Stati Uniti e deve e dovrà la propria sopravvivenza agli aiuti internazionali. Ha due milioni di abitanti, come la Slovenia e la Macedonia. Per sopravvivere, anni fa, quest’ultima vendette a Taiwan il riconoscimento. Skopje è praticamente l’unico stato europeo ad aver disconosciuto la Cina popolare, per riconoscere Taiwan in cambio di un miliardo di dollari. Soldi indispensabili ad uno Stato senza economia.
Il Montenegro ha 600.000 abitanti ed è il porto franco di mille contrabbandi. La Bosnia ne ha quattro milioni ed è da escludere che Sarajevo, la capitale di un paese che conta gli stessi abitanti della Puglia, possa tornare ad ospitare i giochi olimpici. Di questi quattro milioni domattina un terzo potrebbero andar via, forse per riunirsi a Belgrado.
La Croazia invece di abitanti ne ha 4.5 milioni. Allargando lo sguardo, la Bulgaria e anche l’Austria mitteleuropea hanno gli stessi abitanti della Lombardia; l’Ungheria ne ha 10 milioni come la Grecia e la Repubblica Ceca. Più o meno come la Serbia prima della secessione kosovara. L’altra metà della Grande Albania, quella di Tirana, ne ha tre. Vuol dire che le due albanie hanno insieme gli abitanti della Slovacchia o della sola provincia di Napoli.
Il verbo balcanizzare non potrebbe sintetizzarsi meglio. Paesi ricchi e poveri, stabili o in via di ulteriore frammentazione, con storia millenaria o inventati per motivi geopolitici o mafiosi o perché necessari a costruire una base della NATO, sono tutti Stati in vendita. Stati rissosi su piccoli temi e docili sui grandi e con i grandi.
La festa di Pristina è presentata come il coronamento di un sogno, quello dell’indipendenza dei kosovari. Ma è un sogno che ha ben poco a che vedere con un concetto fondativo della nostra modernità: quello di autodeterminazione dei popoli. Ciò che autodeterminazione significava nel XIX secolo, ovvero l’invenzione della nazione, un popolo accomunato da un’unica origine per cultura, lingua, costumi e territorio, come elementi identificativi di un percorso che assicurava alla Nazione libertà, indipendenza e benessere comune, sia quando questa era unione (come nel caso dell’Italia, o della Germania e poi della Yugoslavia) sia quando era secessione da un impero decadente, come per l’Ungheria o la Grecia, oggi non significa più nulla.
Anzi l’autodeterminazione di popoli, sempre più frammentati, nel XXI secolo significa esattamente l’opposto: dipendenza. Come può un paese grande come una provincia decidere delle proprie infrastrutture, se nazionalizzare o privatizzare una banca, se partecipare o meno ad un’alleanza militare o a una guerra? Popoli che hanno sempre convissuto hanno deciso di smettere di farlo indottrinati a pensare che l’altro fosse il problema. Sono stati indotti a pensare che in una comunità coesa avrebbero risolto i problemi ed invece si sono rinchiusi in una piccola gabbia. Stati piccoli, spesso senza accesso al mare né a risorse energetiche (come la Kosova), possono solo sottostare a grandi decisioni prese altrove. E’ questo il nuovo concetto di autodeterminazione espresso dalle piccole patrie etniche, nei Balcani e altrove. Un inganno.
Le grandi potenze, soprattutto gli Stati Uniti, ma anche la Russia e qualunque soggetto locale o esterno, avranno convenienza a giocare con i particolarismi delle piccole patrie. Inizia così una mano pericolosa. Adesso che il vaso di Pandora delle rivendicazioni è stato aperto nella Kosova, dal Kashmir in India a Santa Cruz in Bolivia all’ex-Unione Sovietica, saranno le grandi potenze, secondo i loro disegni a scegliere alcune piccole patrie e trasformarle in casi mediatici. Basteranno pochi TG per far trepidare il mondo per alcuni popoli oppressi dimenticandone ad arte altri. Sui curdi, sui tibetani, il silenzio continuerà ad essere assordante.
L’AGENDA DELL’EUROPA
Allargando lo sguardo all’Europa, all’Unione Europea, solo la fantasia del ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner può far passare per un successo dell’Unione quella che è al contrario una tragedia: “ognuno è libero di fare la scelta che vuole circa il riconoscimento dello Stato del Kosovo”. Ovvero l’Europa, una volta di più, non è riuscita a decidere per risolvere un problema geopolitico proprio e si è spaccata. La decisione l’hanno presa altri, ma “il problema –ha riconosciuto il Ministro degli Esteri italiano, Massimo D’Alema– è nostro”.
I quattro grandi riconosceranno l’indipendenza della Kosova, ma quasi la metà degli Stati dell’Unione non lo faranno, almeno per ora. Germania e Italia la riconoscono per cattiva coscienza, per i troppo precoci riconoscimenti del 1991 e per la guerra del 1999, ma soprattutto perché messi di fronte al fatto compiuto da Washington con la quale pensano sia inutile aprire un conflitto su questo tema. L’Europa dei veti, l’Europa dell’unanimismo di facciata, l’Europa manovrata dai Tony Blair, è l’Europa incapace di scrivere la propria agenda necessaria.
Non sappiamo cosa avrebbe scelto di fare Aldo Moro. Se avrebbe pagato per mantenere la Kosova con la Serbia o avrebbe pagato per dividerla. L’Europa oggi paga senza poter scegliere. Nel caso kosovaro sono gli Stati Uniti a scriverne l’agenda e ad aver convenienza -in sinergia con Londra- in un’Europa che si esprime con 27 voci dissonanti. E non è un caso che l’Europa divisa che fa gioco agli anglosassoni e va in ordine sparso sul Kosovo, sia proprio l’Europa delle (piccole) patrie, come viene definita e voluta dalle destre più recalcitranti.
Perfino la grande Germania degli 80 milioni di abitanti, e terza potenza economica del mondo, che non ottenne il seggio all’ONU dopo l’89, cos’è più oggi senza un’Europa in grado di decidere? Nel mondo della Cina, dell’India, del Giappone, del Brasile, del Messico, dell’Indonesia, perfino la grande Germania è solo una piccola patria in balia delle decisioni altrui.