Giovanna Botteri, alla radio e ai TG, parlando delle sei persone condannate a morte negli Stati Uniti, fa un gran parlare di waterboarding. Sarebbe una tecnica di tortura, non lo nasconde, ma lei la chiama waterboarding e non fa capire quello che è. Che sarà sto uoterbordi Giovanna Botteri?
Fa più scena chiamarlo in inglese? Oppure ne fa di meno? Oppure non vi danno l’indennità di traduzione? Quello che è sicuro è che su dieci ascoltatori nove non capiscono che vuol dire “gli hanno fatto il waterboarding” mentre dieci su dieci capirebbero se dicessi “gli hanno messo la testa sott’acqua”.
Per la cronaca il waterboarding è una tecnica di tortura che potrebbe tranquillamente essere tradotta in italiano come “affogamento”, se non fosse troppo faticoso guardare sul vocabolario. L’affogamento può essere liquido o secco, utilizzando per esempio un sacchetto di plastica, come applicato dall’esercito degli Stati Uniti in Iraq e mostrato anche nelle foto di Abu Ghraib.
Quando l’affogamento è liquido in genere avviene in escrementi, oppure in alcune varianti sviluppate sempre nella Scuola delle Americhe, in acqua ghiacciata oppure bollente, producendo comunque la sensazione della morte imminente nella persona vittima del tormento.