Negli ultimi giorni ho ricevuto varie e del tutto legittime (nonché garbate) critiche al mio post nel quale (tra l’altro) considero opportuno eliminare del tutto il finanziamento pubblico ai partiti e considero irrecuperabile (e quindi da privatizzare) la RAI, con l’eccezione di Radio3.
Scrivo queste righe per puntualizzare la mia percezione evolutiva (evoluzionista, dialettica) del progresso, che non può rimanere bloccata, ma deve sempre sperimentare l’esistente per aggiornarlo, aggiustarlo, non come appeseament al modello economico vigente (tutt’altro!) ma perché il preesistente, la prima repubblica, le baby pensioni, il servizio pubblico iper-lottizzato, non meritano di essere difesi solo per paura di un salto nel buio.
Per l’orrore per Elsa Fornero non possiamo passare tutta la vita a rimpiangere il “piano Fanfani” del 1949! Lo squallore della politica dove fa carriera Nicole Minetti non può farci dimenticare che la grande statista Nilde Iotti, e il suo degno partito, siano morti da quel dì!
Prendiamo, di nuovo, il finanziamento pubblico dei partiti. Avrei trovato corretto l’argomento che il finanziamento pubblico dei partiti fosse necessario per evitare che solo i ricchi facciano politica, vent’anni fa. Oggi l’esperienza, l’evidenza, la dura realtà, il voltastomaco quotidiano, mi fa vedere oltre tale argomento non foss’altro perché è dimostrato che in un regime particolarmente generoso verso i partiti (se 2.300 milioni di € vi sembran pochi) non ha impedito al più ricco di tutti (o avete vissuto su Marte?) di dominare la scena politica. Vent’anni di esperimento (e i decenni anteriori) per capire che tale modello è fallito, vi sembran pochi? Volete riprovarci, magari con Piersilvio? Pierluigi Bersani è un uomo politico generoso e appassionato ma ha condiviso tutte o quasi le sconfitte della sua parte politica negli ultimi vent’anni, lo stallo del paese, la crisi di lungo periodo che va ben oltre il berlusconismo. Con quale faccia viene a dire che senza finanziamento pubblico vincerebbe il più ricco? Invece con?
È un argomento apparentemente plausibile ma stantio, reso impresentabile dalla realtà. A me, onestamente, sembra che quelle centinaia di milioni siano solo serviti per generare mostri come Luigi Lusi e per separare (credo di spiegarlo in maniera chiara) le cupole dei partiti dai militanti e dagli elettori, quel popolo di sinistra, quel popolo delle primarie convocato, evocato, ma mai veramente coinvolto. Quei soldi hanno contribuito ad allontanare la politica dalle persone! Era quello che volevano, non siamo ingenui. Ma oggi, se i cassintegrati, i giovani precarizzati o gli esodati possono vivere con niente, perché non si può pensare una politica popolare low-cost? Proprio non riescono (o non vogliono) ripensare a una militanza di massa, con i cittadini coinvolti nel pensare il proprio progetto di società.
Non solo. Quali sono stati i laboratori di idee degli ultimi vent’anni? Non certo i partiti, o le fondazioni generate dagli stessi come pensatoi costosissimi. Sono stati i movimenti, i fori sociali, i referendum partiti da cittadini… Tutto è nato al di fuori dei partiti, tutto è nato in antagonismo al mainstream del centro sinistra che senza Fukushima avrebbe boicottato perfino il referendum sul nucleare! Ebbene, tutta la politica migliore di questi anni è stata fatta senza una sola lira pubblica! Allora, di nuovo, se per vent’anni i partiti hanno dimostrato di fare un pessimo uso di questi soldi (ricordo pari a 177 volte il totale delle borse di studio universitarie 2013), vogliamo dargliene ancora? I partiti non sono gli ospedali, il sistema sanitario, la scuola, l’Università indispensabili da finanziare perché senza non c’è democrazia. I partiti sono altro.
Per la RAI il discorso è analogo e non vi tedierò che per poche righe. È impensabile un modello di pluralismo nel quale ad ognuno venga fatto sentire quello che vuole sentire. Non è pluralismo un modello di servizio pubblico che è solo un’ulteriore forma di piazzare protetti dei partiti. Ci serve? È l’unico servizio pubblico possibile? Un servizio pubblico dove ognuno dei 13.000 dipendenti (migliaia con sontuosi stipendi da dirigenti) ha in fronte un’etichetta col nome del lotto al quale appartiene non è un servizio pubblico e quel ch’è peggio, non è riformabile. Coraggio, c’è vita (e informazione) oltre Bianca Berlinguer e il TG3!
Considero gli attuali partiti e la RAI (non la politica, non il servizio pubblico) dei rami secchi. Se per i partiti è possibile (anche se difficilissimo) un profondo rinnovamento di uomini oltre che di idee, non è pensabile che la RAI accompagni fino alla pensione un servizio pubblico che è marcio anche quando ci piace. Quindi a me sembra che l’unica soluzione sia vendere all’asta i canali televisivi nazionali a tre soggetti privati diversi (possono essere anche cooperative come la Telesogno di Michele Santoro), contestualmente alla messa sul mercato di almeno due canali Mediaset, e smaltire (sempre sul mercato che a parole piace loro tanto) la maggior parte di quei 13.000 lottizzati. Ciò non genererebbe un modello mediatico alternativo a quello commerciale ma almeno smantellerebbe il bubbone creato da Craxi a Mammì che il centro-sinistra non ha voluto (NON HA VO-LU-TO) smantellare. Dobbiamo pensare il nuovo e ripartire con la costruzione di un altro servizio pubblico possibile. Capisco le paure ma la casa crolla e il primo dovere è non restarci sotto.