Risparmiateci l’onore delle armi per Umberto Bossi e per la Lega Nord. La melma nella quale affonda è la stessa nella quale ha lucrato per decenni su paure ataviche ed egoismi modernissimi. È un bene che il velo sia caduto sul repertorio più classico del peggiore italianismo: corruzione spiccia, avidità, opportunismo, furbizia, una casta leghista così impresentabile da far rimpiangere l’Udeur, la connivenza con la criminalità organizzata, la presunta discontinuità che invece si dimostra bieca continuità, la bella vita senza lavorare, il familismo amorale del sistemare la famiglia. Altro non è mai stato, la Lega Nord. I mali d’Italia concentrati nella casa di Gemonio quasi come fosse quella del Grande Fratello.
Risparmiateci l’onore delle armi per i ragionieri con lo spadone. Non provo alcuna pena per i mentecatti di Pontida che si sono prestati al gioco dell’odio, convinti di essere una razza superiore assediata da chi è nato poche decine di km più a Sud o su una sponda diversa dello stesso mare. Causano puro orrore quelli che hanno avvelenato la vita del nostro paese con l’odio antimeridionale prima e contro i migranti poi. Causano profondo disprezzo quei profittatori di una guerra inventata che hanno fatto carriera o guadagnato un posto in graduatoria pretendendo di discriminare chi era nato in un’altra regione. Non dimentico neanche una delle infamie della Lega Nord alle quali ha fatto sponda, offrendole una legittimazione che non era scontata, l’intera classe politica. Ovviamente Silvio Berlusconi, ma anche l’altro campo, esemplificato nella nefasta “costola della sinistra” di Massimo d’Alema, ha rappresentato in questi anni l’incapacità di trattar la Lega per quello che è sempre stato: un fenomeno eversivo fondato sulla discriminazione.
Mi vergogno per un paese che ha avuto Roberto Calderoli come Ministro e si è fatto rappresentare a Bruxelles da Mario Borghezio e Matteo Salvini. Mi vergogno di un paese che ha considerato interlocutori politici gentaglia capace di passare senza ritegno dai riti pagani all’integralismo cattolico, dalla presunta goliardia violenta del “forza Etna” alle guerre di civiltà. Noi contro loro perché è più facile da capire. Noi contro loro perché altrimenti non scatta la macchina del consenso. Noi contro loro perché altrimenti i nodi del fallimento del neoliberismo verrebbero al pettine. Noi contro loro perché altrimenti dovremmo interrogarci sui limiti della nostra modernità, sulla perdita di valori, cultura, coscienza civile. Noi contro loro nell’illusione che il problema possa essere espulso e noi si possa riprendere la nostra età dell’oro bucolica interrotta dall’irruzione dello straniero.
È infame poi lo spaccare il capello in quattro di media tuttora conniventi con una Lega pienamente interna al sistema, con propri uomini ovunque, dai consigli d’amministrazione alle fondazioni bancarie, dagli organismi di vigilanza ai media. Il ribaltamento della “questione meridionale” in “questione settentrionale” non era altro che questo: aggiungere posti a tavola della mangiatoia pubblica. Sarebbe “il nuovo” Roberto Maroni, complice di tutte le nefandezze del capo e condannato per crimini contro l’umanità dalla Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo per l’infamia dei respingimenti, il crimine più grave in Italia da Marzabotto, Stazzema e le Fosse Ardeatine?
È emendabile la storia della Lega Nord dai sacrifici umani, dal sangue che hanno voluto i dentisti o i commercialisti in camicia verde? Piango per quei 17.000 corpi senza nome che giacciono nel Mediterraneo, e che sono in gran parte sulla coscienza di un’Italia che ha permesso la vergogna di far diventare partito di massa un partitino xenofobo estremista che in Germania o in Francia sarebbe stato tenuto fuori dalle istituzioni come testimoniò il ballottaggio 2002 a Parigi. Piango per i torturati da Gheddafi ai quali Maroni e Berlusconi avevano appaltato il lavoro sporco. Piango per quei bambini ai quali è stato negato perfino il cibo in scuole dell’orrore come quella di Adro. Rivendico subito (come minima prova di riscatto) la cittadinanza per i nati in Italia, e presto, con un percorso sicuro e garantista, la cittadinanza piena per chi in Italia ha scelto di vivere. Oggi, Ministro Riccardi!
Ma come siamo arrivati a questo? La canea dell’odio leghista in questi anni ha fatto breccia in almeno due Italie. Da una parte un’Italia aggressiva figlia di un ibrido mostruoso tra Mastro don Gesualdo e Margaret Thatcher, disposta a sparare a vista pur di dire “roba mia viettene con me” e intimamente rappresentata dal più gretto, volgare e razzista dei partiti. Dall’altra la Lega ha fatto breccia nell’Italia dei penultimi, tra gli anziani spaventati, tra i giovani che avevano creduto che studiare non servisse per poi ritrovarsi subalterni per sempre, per cultura e rapporti di produzione. Soprattutto ha fatto breccia in quella classe lavoratrice colpita a morte dalla doppia crisi strutturale del modello, quello neoliberale e quello della piccola e media impresa sul quale era stato costruito il miracolo economico. È l’Italia che è stata tradita dalla fine dei partiti di massa, DC e PCI innanzitutto, che avevano a lungo saputo incarnare la società della seconda metà del XX secolo per poi sparire senza eredi che non fossero scorciatoie (sempre conservatrici) di interpretazione della modernità: l’individualismo berlusconiano, quello appena temperato da un centro-sinistra che accettava pienamente il modello.
Così la Lega ha speculato su problemi reali banalizzandoli e offrendo una spiegazione semplice per tutto quello che di brutto andava succedendo nell’abdicazione di una politica che aveva rinunciato a trattare le masse stesse come soggettività. Non erano i tagli orizzontali alla scuola pubblica a far crollare quest’ultima ma era colpa degli insegnanti meridionali. Non era il radicale peggioramento dei rapporti di produzione dato dalla globalizzazione a rendere invivibile la condizione operaia ma era colpa dei migranti che rubavano il lavoro agli italiani. Il veleno reazionario, incarnato dal messaggio leghista forse meglio ancora che da Berlusconi, si è insinuato in questi anni nel vuoto di un messaggio politico alternativo. Solo il riprendere la battaglia delle idee con una chiara proposta di progresso includente, con un’idea guida che metta gli ultimi e i penultimi dalla stessa parte della barricata, eviterà che la fine ineludibile della cosiddetta Seconda Repubblica, nelle cose con l’ignominiosa uscita di scena di Berlusconi prima e Bossi poi, non si trasformi in un incubo peggiore.