L’immagine qui sopra secondo me sintetizza in maniera perfetta la principale debolezza di Twitter, strumento straordinario per far circolare notizie, aggeggio limitatissimo per esprimere idee. L’esempio viene bene per testimoniare perché nella polemica tra Michele Serra, che ha detto che Twitter fa schifo, e i difensori di Twitter come patrimonio mondiale dell’umanità, ritengo che entrambi abbiano buone ragioni e qualche torto e pertanto mi metto moroteamente in mezzo.
Da osservatore onnivoro di politica internazionale ma non esperto di medio oriente, leggo un paio di articoli in inglese sulla morte del patriarca copto Shenouda III. Non ho tempo né competenze per scrivere un articolo, ma ritengo sia opportuno far notare questa notizia che stamane era tra i titoli dei principali canali allnews in inglese, francese, spagnolo. È parte di quello che considero una delle “mission” del mio lavoro ultradecennale in Rete: allargare il campo rispetto al provincialismo dell’informazione italiana.
Questo sito ha 17 anni, con le BBS mi avvicino ai vent’anni di esperienza nella circolazione di notizie alternativa al mainstream e credo di aver maturato un po’ di sensibilità in materia. Per farlo in questo caso scelgo Twitter, che paradossalmente è un allargare il campo restringendo la profondità dello stesso ai 140 caratteri del medium. Nella JPG in calce si può vedere come sto lavorando con Twitter fino a guadagnare la fiducia di quasi 5.000 “follower”: pochi interventi quotidiani, meno di dieci, ma di tutte le tipologie, dal veicolare contenuti del mio blog, ai brevi commenti, al ritwittare da media sia partecipativi che mainstream, al proporre traducendole come brevissime notizie per me di valore ma ignorate o quasi in Italia, come quella dall’Egitto o, nelle ultime ore, gli aggiornamenti sulla campagna elettorale francese, o notizie dall’America latina.
Quindi nel caso specifico, la scomparsa di una figura come Shenouda III, col mio tweet ho già peccato, liofilizzando al massimo l’informazione. A Serra farebbe un po’ schifo il mio tweet ma io penso che una persona di media cultura sappia perfettamente qual è il compromesso sotteso in quei 140 caratteri e che poi, chi vuole, ritengo, possa approfondire. Questo per me è il passaggio chiave, che vuol dire partire dalla sintesi di Twitter per allargare il campo andando a veri articoli, vera informazione, vere conoscenze, vere idee (magari veri libri) che non possono mai essere compresse in 140 caratteri. Non la pensa così il mio “follower” Luca Becattini che si sente in diritto (e ne ha il diritto) di sintetizzare ulteriormente in un insulto il giudizio su di un personaggio del quale probabilmente nulla sa. Ma come lui ha il diritto di sintetizzare in otto caratteri una storia complessa io (o Michele Serra) abbiamo il diritto di rifiutare tale drammatica semplificazione per un medium che in sé rinuncia alla complessità, alla raffinatezza. La differenza è che Serra rifiuta in toto il medium e resta sulla sua tribuna mainstream. Io, forse anche perché non ho –se non saltuariamente- una tribuna mainstream, critico il medium e cerco di tirarne fuori il meglio.
Serra fa il giornalista da quel dì e forse concorderà con me nel vedere in Twitter un omologo del flusso dei titoli delle agenzie che dal telegrafo allo schermo di un computer permette ai giornalisti di selezionare e semplificare la complessità informativa. E io concorderò probabilmente con Serra nel temere un certo uso plebeo di Twitter che riduce oggettivamente l’informazione ad una muscolare sequenza di slogan, spesso vuoto di contenuti e fuorviante come dimostra quello di Becattini. E però… c’è un però: non sarà che Serra, come molti dei comunicatori della sua generazione, sia innanzitutto terrorizzato dalla democratizzazione dei media data dal giornalismo partecipativo? Che tema e rifugga la capacità di moltitudini di scrivere la propria agenda informativa prescindendo da Michele Serra, Massimo Gramellini, Geminello Alvi, Gianni Riotta? Una delle peculiarità di Twitter è quella di indifferenziare nel flusso della Timeline personale i media partecipativi dal mainstream. Sta alla dedizione del cittadino informato la selezione.
Insomma non si illuda nessuno dei soggetti in questione. Twitter in particolare non è il luogo della complessità (come non lo sono le Amache o i Buongiorni o le Iene, luoghi soprattutto di virtuosismi della scrittura) né dell’espressione delle idee. Twitter è un’Agorà dove milioni di prodotti, titoli, link, #FF, notizie, battute, arruffianamenti, si rincorrono e permettono una selezione più democratica dei flussi. Ciò ad un patto: che tutti noi si sappia che i contenuti restano altrove, nei libri, nei saggi, nei giornali, e soprattutto nei nostri blog che, come afferma Massimo Mantellini, nonostante i social network li facciano sembrare obsoleti, sono e saranno sempre più centrali.