Una persona di grande spessore come Andrea Riccardi, Ministro per la cooperazione e l’integrazione, professore ordinario di Storia Contemporanea, che come fondatore della Comunità di Sant’Egidio ha contribuito a mettere fine a conflitti terribili come quello del Mozambico, è stato trattato come uno sprovveduto da personaggi di quart’ordine come Maurizio Gasparri o Nitto Palma. Quarantasei senatori del partito di maggioranza relativa sono arrivati a chiederne le dimissioni e il segretario del PdL Angiolino Alfano, messo nel comodo ruolo della parte offesa, si è mostrato subdolamente magnanimo nel considerare infine il caso chiuso. Ma purtroppo il caso non è chiuso affatto per due motivi.
Il primo –sotto gli occhi di tutti- è che il caso testimonia una volta di più tutto lo schifo (la scelta del sostantivo non è casuale) per la politica che oramai accomuna oltre il 90% di italiani che, in sondaggi di varia natura, si è mostrato d’accordo col ministro: ci fate schifo. Ogni volta che il governo, verso il quale è doveroso essere critici ma restando con la testa fuori dal sacco, farà qualcosa di sgradevole per il Re di Bunga Bunga, vedi Tivù e Giustizia, rischierà che la Cayenna del PdL si saldi con la banditaglia razzista della Lega.
Il secondo, quello più importante ma sotteso, è che il teatrino della mozione di sfiducia a Riccardi è un cartellino giallo, direi quasi rosso, per quello che è il senso vero della presenza di Riccardi nel governo: la transizione allo Ius soli, il diritto alla cittadinanza per i figli dei migranti nati in Italia. Il paese è maturo, la politica no e la testa di Riccardi può saltare da un momento all’altro.