Luca Conti (foto), uno dei massimi esperti di Internet in Italia, che due anni fa invitai a tenere un bellissimo corso sull’innovazione in Rete nell’ambito del “master in giornalismo partecipativo” della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Macerata, e che in un’università diversa (non al tempo della Gelmini per capirci) sarebbe stato bello legare ad una collaborazione costante, scrive un’interessante post nel quale mi riconosco pienamente. In buona sostanza Luca teorizza il ritorno al blog rispetto all’abuso dei social network, Facebook e Twitter in particolare.
Conti parla di sé ma non solo condivido quanto esprime nella teoria e nella pratica (e infatti con Dario Caregnato stiamo lavorando al rinnovo di questo sito) ma ritengo che quello espresso (di essere comunque ospiti e non padroni di casa nei social network) sia un sentimento molto diffuso tra quanti hanno costruito nell’ultimo decennio (dal 1995 nel caso di chi scrive) la propria autorevolezza in Rete attraverso un sito personale e con questo hanno fatto informazione raggiungendo a volte decine di migliaia di persone con un singolo articolo.
Tanto Facebook che Twitter sono strumenti straordinari, che hanno rinnovato il linguaggio della comunicazione e soprattutto degli agenda setting informativi di ognuno ricostruendoli intorno alla credibilità personale e non alla testata di appartenenza. Oggi la bacheca di Facebook di ognuno costituisce una gerarchia informativa alternativa basata sulla conoscenza personale che rende parzialmente obsoleto il potere dei media di gerarchizzare le stesse. Straordinario e indispensabile ma col tempo, dai commenti, alle citazioni, alle condivisioni, ci si inizia a domandare se è più quello che Facebook dia o quello che sottragga e se è giusto che il proprio lavoro debba sostanzialmente essere donato ad una “testata” terza, una multinazionale della comunicazione con una concezione proprietaria dello strumento che non condivido affatto.
Negli ultimi dieci anni (con la significativa eccezione della collaborazione retribuita con Latinoamerica) ho sempre rifiutato le parecchie richieste di aprire un blog sotto una testata giornalistica o in una rete professionale. Ritenevo e ritengo di non poter accettare di riprodurre anche nel mondo dei blog i percorsi di autoreferenzialità del mainstream. Non è con un blog su una grande testata che garantisco l’autorevolezza dei miei scritti –semmai il contrario- e la visibilità non può essere l’unico parametro. Quando poi vengo a sapere che il Sole24Ore non paga nemmeno contenuti di eccellenza quali quelli offerti da Luca Conti deduco per l’ennesima volta che quello col mainstream è un patto se non col diavolo almeno un patto a perdere nel quale quest’ultimo prende sempre più di quanto dà. La loro logica è nota: aumentare i click per la pubblicità, ma quella di chi vi scrive gratuitamente qual è? Al di là di questo dettaglio anche la loro logica è stantia. Nel mondo di Facebook la gerarchia delle notizie è da tempo saltata. E allora chi accede più dall’home-page di un quotidiano per scorrere giù giù fino al tuo blog?
Claudia Vago, come @tigella una delle voci più attive del Twitter italiano, riflette sui limiti di uno strumento che ha sposato con entusiasmo. Sono cose che chi scrive ha sostenuto in parte già in Giornalismo partecipativo: presentismo e scheletricità dei contributi sono il limite di Twitter che va molto bene quando fa il suo ma non va bene per alcuna elaborazione complessa, analisi, riflessione, se non nel linguaggio in pillole da pastone politico del TG1. I social network continueranno ad essere indispensabili anche nel 2012 ma è bene non adagiarsi sulla loro attuale centralità, soprattutto abbandonando le case, i nostri blog, che ognuno di noi ha costruito con molta fatica.