Deve essere costato veramente molto ad Álvaro Uribe (nella foto) ammettere che “si è potuta ottenere la liberazione delle due compatriote grazie al lavoro svolto, che ringraziamo infinitamente, del presidente Hugo Chávez“.
E’ questo il fatto politico sostanziale di una delle più belle giornate nella storia dell’integrazione latinoamericana e che ha portato alla liberazione da parte delle FARC di Clara Rojas e di Consuelo González de Perdomo. E’ successo, o meglio è iniziato a succedere, quello che le parti in campo in Colombia non avevano mai voluto che succedesse: che un concerto regionale potesse mettere mano all’inestricabile conflitto interno colombiano e cercare una soluzione regionale. E’ quello che da Washington, a partire dal Plan Colombia, avevano sempre escluso che dovesse accadere ed oggi comincia ad accadere. L’America (l’America latina) agli americani (latinoamericani). [segue]
Uribe, di nuovo a denti stretti, a dovuto permettere ed ammettere che la forza dell’integrazione latinoamericana è più forte, le FARC hanno fatto l’unica cosa che potessero fare per recuperare credito dopo il fallimento dell’ “operazione Emmanuel”. Felicemente le FARC hanno preso l’ultimo treno che veniva loro offerto e possono avere un ruolo positivo nel futuro del paese. Se torneranno a capire che la guerriglia può avere valore solo come mezzo politico e mai essere fine a se stessa le FARC potranno avere nella pacificazione della Colombia è un ruolo che non potranno mai avere né paramilitari né narcos che in una Colombia in pace non hanno alcun futuro.
Se la liberazione fosse avvenuta 10 giorni fa, con la partecipazione di otto governi (sei latinoamericani più Francia e Svizzera) quel giorno sarebbe stato evidente che anche la selva colombiana è parte della Patria grande latinoamericana, che non è proprietà esclusiva dei signori della guerra, dei paramilitari, del governo che li alimenta e da questi si alimenta. Come ha detto Hugo Chávez: “il Venezuela non è nulla senza la Colombia e la Colombia non è nulla senza il Venezuela“. Parole irrise spesso da molti, soprattutto dalla stampa euroccidentale, parole che ieri si sono rivelate in tutta la loro consistenza. Senza integrazione l’America, la Patria grande, non esiste e continua ad essere periferia colonizzata e colonizzabile. Quel giorno avrebbero partecipato fisicamente alla risoluzione del conflitto i popoli del Brasile, dell’Ecuador e degli altri paesi della regione e sarebbe stato un trionfo ancora più grande che Uribe e chi lo manovra ha voluto impedire. Ma questo giorno si è dimostrato che l’America latina può decidersi, agire e risolvere (o iniziare a risolvere) i propri conflitti e problemi. Che piaccia o no, e a molti in Occidente non piace, lo ha fatto per la straordinaria tenacia di Hugo Chávez.
Dev’essere costato veramente molto ad Uribe riconoscere e ringraziare il governo cubano e il presidente Fidel Castro, altra silenziosa potenza pacifica e pacifista, per il ruolo svolto in tutti questi anni in Colombia, come deve essere costato moltissimo riconoscere al governo statunitense la statura di leader internazionale raggiunta da Hugo Chávez. Questo ha raggiunto questa statura sulla base di pochi ma inviolabili principi che governano dall’inizio la politica estera bolivariana: multilateralismo, integrazionismo, giustizia sociale.
Ci sarà tempo per tornare a regredire in Colombia, e già la cortina dei media mainstream sta mistificando e tergiversando su questi punti, ma oggi è sotto gli occhi di tutti che la politica integrazionista non è una fantasia: è il motore del futuro.