Quello che stupisce, sopravvivendo con pena alla puntata di ieri sulla precarietà di Presa diretta, il programma di Riccardo Iacona su RAI3, è che perfino chi come chi scrive uno straccio di lavoro in Italia ce l’ha, si ritrova a pensare ad andarsene all’estero come una svolta desiderabile. Come se l’incerto all’estero fosse comunque da preferire al certo (ma lo è davvero, sul bagnasciuga del default?) italiano.
A questo ci ha ridotti il familismo amorale, la corruzione, l’illegalità, il menefreghismo, il degrado, la rassegnazione, il disprezzo per la cosa pubblica, il tradimento della politica. Non è sempre stato e non sarà sempre così, ma oggi è diffusa la sensazione che l’Italia non sia un paese dove valga la pena investire se si è onesti, si lavora e non si hanno santi in paradiso.
L’andarsene corrisponde a una presa d’atto di irredimibilità del paese. È una presa d’atto diffusa, forse perfino maggioritaria, quasi certamente esagerata rispetto alla realtà, insana, controproducente. Dovrebbe prevalere la rabbia, la denuncia, l’indignazione. Invece vince la rassegnazione e la ricerca di una salvezza individuale data dall’emigrazione. Fuitevenne diceva Eduardo più di trent’anni fa.
Non illudiamoci, la volgarità di Silvio Berlusconi ha peggiorato tutto, ha sdoganato i peggiori istinti che prima erano vizi privati laddove si ostentavano pubbliche virtù, ma il cancro era già presente. La corruzione, l’evasione fiscale, l’incapacità di rispettare le regole ed esigere che siano rispettate, un rapporto con le istituzioni amorale se non immorale, sono una sorta di nemico invisibile, un virus, un gas inodore eppure mortale. È un nemico che ci rende tutti presbiti, lo vediamo da lontano, si sfuoca da vicino.