È caduta martedì a Brasilia la testa di Antonio Palocci (foto), potentissimo capo di gabinetto del Presidente brasiliano Dilma Rousseff, già ministro delle Finanze di Lula da Silva dal 2003 al 2006.
Anche all’epoca obbligato a dimettersi è considerato l’ambasciatore a Wall Street del Brasile e ha ammesso di avere usato la propria influenza politica per arricchirsi.
Le rivelazioni del quotidiano “Folha de S. Paulo” del 15 maggio erano esatte. Palocci è rimasto sulla graticola per qualche giorno, non troppo strenuamente difeso sia da Dilma che da Lula, ma poi è stato lasciato al suo destino. Troppo imbarazzante per il governo (in Brasile, in Italia sarebbe stata violazione della privacy, ndr) il fatto che il conto in banca di Palocci sia cresciuto negli ultimi quattro anni da 375.000 a 7.5 milioni di Real (da 160.000 a 3.2 milioni di Euro). È un arricchimento dovuto all’attività di Projeto, un’impresa di consulenze finanziarie creata nel 2006 dallo stesso ministro e che ha fatto in questi anni affari con le maggiori imprese del paese, da Petrobras al Banco do Brasil ai fondi pensione Previ fino a donare due milioni di Real (850.000 Euro) per la campagna elettorale 2010 di Rousseff ma anche 300.000 (130.000 Euro) per quella del suo oppositore di centro-destra José Serra.
In quegli anni Palocci (1960, medico, sindacalista, deputato del PT dal 1990 nello stato di San Paolo e dal 1998 a Brasilia) aveva vantato ovunque (e oggi saltano fuori gli email) la sua esperienza di governo con Lula come indispensabile per fruttifere consulente di mercato. Una pratica comune e legale per ex-governanti in Brasile e altrove ma inammissibile per un deputato in carica e con aspirazioni ad un ruolo di primo piano quale quello poi assunto nello staff di Rousseff. Nonostante dal punto di vista penale il suo caso sia stato archiviato, Palocci ha ammesso martedì in una conferenza stampa a Brasilia di aver moltiplicato il suo patrimonio ed ha rassegnato le sue dimissioni “per evitare che la polemica danneggiasse il governo”.
Già nel 2006 l’esperienza come ministro delle Finanze di Palocci, leader dell’ala liberista del partito e uomo chiave nel garantire i mercati che Lula non avrebbe significato una rivoluzione socialista in Brasile, si era conclusa con il più grave scandalo degli ultimi dieci anni, quello del cosiddetto “mensalão”. Il governo di Lula, che nonostante la popolarità del presidente non aveva la maggioranza in parlamento, pagava degli stipendi sottobanco ai deputati dell’opposizione che votavano a favore dell’esecutivo. Palocci fu così costretto a dimettersi nel marzo del 2006 in favore del tuttora ministro Guido Mantega che da allora ha gradualmente permesso una maggior presenza dello Stato nell’economia di uno dei paesi in maggior ascesa al mondo. Palocci rimase in panchina, arricchendosi, per quattro anni prima di tornare in scena come braccio destro di Dilma Rousseff della quale ha orchestrato tutta la campagna elettorale.
Dal punto di vista politico Palocci rappresenta l’ala destra del Partito dei lavoratori (PT) nel quale milita dagli anni ’80 e l’uomo di fiducia dei mercati internazionali tanto che la Reuters oggi apre sulle preoccupazioni di Wall Street per la caduta del “più potente pro-business” del governo Rousseff. Intanto a Brasilia nel giro di poche ore è stata già designata la sostituta di Palocci nella senatrice del PT di Curitiba Gleisi Hoffmann (1965). Questa, nella prima dichiarazione come capo di gabinetto non ha lasciato dubbi “Dilma vuole una gestione tecnica”. Per molti analisti brasiliani è il segnale che l’uscita di scena di Palocci rafforzi l’indipendenza di Rousseff dal suo predecessore e mentore Lula da Silva.