La scorsa settimana la stampa nicaraguense, ovvero “La Prensa” e “Nuevo Diario” (tanto altro non c’è), per cinque giorni consecutivi ha aperto a tutta pagina con una rabbiosa campagna di stampa contro il pericolo rappresentato dell’impero venezuelano (sic). I titoli sembravano presi da vecchi western e suonavano “ALBA imperiale” o “Chávez contro l’export nicaraguense” oppure “l’imperialismo chavista contro il Nicaragua” e così bluffando con sprezzo del ridicolo.
Tutto ciò in titoloni a nove colonne. Per capire l’allarme generato dai titoli il lettore deve precipitarsi a leggere i pezzi per scoprire frammenti come: “Ecco la verità sull’ALBA [l’alleanza solidale tra i paesi integrazionisti più radicali]: Chávez ci paga cento dollari in più a tonnellata ma poi pretende di controllare la nostra carne”. Oibò; cosa pretende il perfido Chávez (ammesso e non concesso che ne sappia qualcosa) in cambio di ben 100 dollari in più? Ebbene, per “ALBA imperiale” la stampa nicaraguense intende il tracciamento della carne. L’ “imperialismo chavista” non è altro che il chiedere dati come l’età o il peso dell’animale macellato o se questo ha passato le visite veterinarie basiche.
Intanto un’altra campagna di stampa, molto ben supportata a livello internazionale, denuncia il “monopolio sandinista sull’informazione” in Nicaragua causato dall’acquisto del Canale 8 da parte del governo. Il “monopolio sandinista sull’informazione” vuol dire che in Nicaragua il governo passa dall’avere contro dieci degli undici canali nazionali all’averne contro solamente nove.
Nel frattempo una quarantina di deputati del Parlamento Europeo (sul solito migliaio) condannano Chávez perché non rispetterebbe la libertà di opinione. E´ di nuovo il caso di RCTV, il canale venezuelano araba fenice, dato cento volte per chiuso dal perfido Chávez e che invece continua a trasmettere per violare le leggi dello stato e fare la vittima. Tali leggi sono cosí assurde come quelle denunciate dalla stampa nicaraguense quando denuncia l’imperialismo chavista per voler sapere l’età degli animali importati. Per esempio limitano oscenità, turpiloquio, immagini di violenza nelle fasce protette o proibiscono l’incitare ad un nuovo colpo di stato (RCTV fu tra i promotori di quello dell’11 aprile 2002). Tutto questo per una quarantina di deputati del parlamento europeo sarebbe violare la libertà di espressione e testimonierebbe una “deriva autoritaria”.
Peccato che quegli stessi non si accorgano della situazione colombiana. A Bogotà hanno fatto chiudere, con una decisione di un tempismo sospetto, l’unico settimanale, “Cambio”, che denunciava la corruzione del governo di Álvaro Uribe alla vigiia della campagna elettorale. “Cambio” è stato fatto chiudere dalla famiglia dell’attuale vicepresidente della Repubblica, i Santos, principali editori del paese, che lo controllava. Ma per la Colombia in pochi parlano di attentato alla libertà di espressione. È solo libero mercato.