L’articolo di Omero Ciai sulla bufala della liberazione della Betancourt è esemplificativo della mentalità di certo giornalismo. Lui, il giornalista di Repubblica di stanza a Miami, in straordinaria sincronia con Patricia Poleo, la presunta terrorista venezuelana “rifugiata” a Miami, non è interessato alla sorte della Betancourt o degli altri ostaggi colombiani nelle mani delle FARC. Men che meno è interessato a raccontare una storia, che sarebbe il suo lavoro. Non è neanche interessato a difendere l’amico Uribe, così disastroso che meno se ne parla meglio è. Lui è solo interessato a denigrare Chávez. E perciò scrive: “da tempo Chávez è accusato dal governo di Bogotà (credibile quello! ndr) di essere un fiancheggiatore della narcoguerriglia colombiana e se ottenesse qualcosa da loro confermerebbe un legame di complicità che lui nega”. Ovvero, per Omero Ciai, se Chávez, il capo di un grande paese confinante con la Colombia, interviene per facilitare lo scambio umanitario è perché è senz’altro complice delle FARC.
Ricordo a Ciai che per motivazioni simili a quelle da lui vomitate contro Chávez senza alcuna prova, Rahmatullah Hanefi si fece tre mesi di carcere in Afghanistan. La sua colpa? Essere stato il mediatore nella liberazione del collega di Omero Ciai, l’inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo. Chissà come la pensa Mastrogiacomo a sapere che per Ciai essere mediatore equivale a essere complice.
Un’ultima cosa: mentre dal Sole24ore alla Stampa, praticamente tutti i quotidiani italiani ricordano che Patricia Poleo, la donna che ha lanciato la bufala della liberazione della Betancourt, è stata incriminata per l’omicidio del giudice Danilo Anderson, Ciai la definisce solo “oppositrice di Chávez”. Secondo voi, Ciai non lo sa, o fa finta di dimenticarlo, bucando tra l’altro un dettaglio giornalisticamente ghiotto?
PS sulla cattiva figura che nel complesso ci fa la stampa italiana sul caso, consiglio la lettura de L’Unità e di Annalisa Melandri.