Lo spesso ottimo Ilvo Diamanti, sulle pagine di Repubblica, analizza il crollo delle simpatie per l’aggressione all’Iraq e la costante discesa della fiducia verso gli Stati Uniti in Italia. Diamanti si preoccupa, praticamente in ogni riga del suo lungo articolo di esprimere giudizi critici e preoccupati verso la crescita di tali sentimenti nel paese. Emerge ad ogni riga dall’articolo di Diamanti la tendenza a considerare il pensiero di chi non è allineata ad una visione imperialista della geopolitica come irresponsabile, fuori tempo e frutto di ignoranza, insofferenza alla modernità e pregiudizio, riassumibile col totem dell’antiamericanismo.
Nell’attuale contesto mediatico di manipolazioni informative hollywoodiane, dal cinema alla pubblicità alla televisione, giova ricordare che in dieci casi su dieci i buoni sono sempre gli statunitensi. Eppure -secondo Diamanti che se ne duole- quattro italiani su dieci considerano gli SU “una minaccia per i nostri interessi”. Dovremmo allora dedurre che se avessimo un’informazione minimamente indipendente, questi sarebbero 6-8 su 10. Forse sbagliano tutti e sono tutti accecati da ideologie vinte dalla storia. Se così fosse non si capisce come e dove tanta gente se ne alimenti così copiosamente. Ma se è così, e soprattutto se così non è forse questo fenomeno meriterebbe più attenzione da parte dello studioso veneto.
Diamanti si stupisce che la grande maggioranza degli italiani considerino gli statunitensi “altro”, rispetto a noi. Forse invece di scandalizzarsi, dovrebbe iniziare a pensare a se non ci siano sufficienti ragioni del perché un paese civile come l’Italia che firma e rispetta le convenzioni internazionali -beh, quasi tutte, purtroppo c’è Castelli- si consideri “altro” rispetto agli SU. Questi sono un paese che non ha firmato la convenzione sulla tortura, che condanna a morte i minorenni, è organizzato socialmente con un sistema privatistico per salute, previdenza, educazione, che la stragrande maggioranza degli italiani -e degli europei- disapprovano e temono. Forse bisognerebbe rivalutare il pensiero neocons, difeso a parole ma neanche conosciuto, e considerare che davvero l’Atlantico s’è allargato. Forse davvero gli europei si considerano, sono e vogliono essere altro rispetto agli statunitensi e gli interessi in comune non sono più sufficienti a rallentare tale divaricazione culturale.
Il ricondurre la diffidenza verso il “grande fratello” statunitense sempre al pregiudizio e all’antiamericanismo non aiuta a comprendere tali fenomeni. E Diamanti, che non fa il politico ma lo studioso, di questo dovrebbe occuparsi, piuttosto che prenderne timoroso le distanze.