Ieri, con la cosiddetta Convenzione, è cominciato il definitivo spiaggiamento dell’ex-aspirante nuova balena bianca che voleva essere il Partito Democratico. Parallelamente, con l’elezione di Angelo Bonelli come Presidente (autonomista come Craxi) dei Verdi, si va spiaggiando anche il balenottero di Sinistra e Libertà, che proprio non riesce a superare il suicida frazionismo pro-poltroncina del personale politico. Alla sinistra di questi lo spazio identitario del PRC sembra intanto poter congelare i propri voti meglio di quelli missini al tempo di Almirante. Se contiamo anche gli irriducibili dipietristi e la palude casinista dell’UDC, quei sei italiani su dieci che non hanno votato per Berlusconi sono per l’ennesima volta all’anno zero.
Concentriamoci sullo spiaggiamento del Partito Democratico. Concentriamoci sulla meccanica e non sulla politica ché questa resta ben poca. Ieri al PD non è bastato mostrarsi unito per non farsi rubare la scena da un Berlusconi che sembra sempre più Alvaro Vitali. Gli bastano tette e linguaggio triviale per dominare la scena. Ieri gli è stata sufficiente una parolaccia (“sputtanare” resta una parolaccia che continua legittimamente ad infastidire qualcuno) per mandare in visibilio i giornalisti che su tutte le reti godevano a ripeterla come i bambini. Così avvilivano con Berlusconi il linguaggio settoriale della politica e la stessa lingua italiana abbassandola a un malinteso linguaggio popolaresco. E dire che Dario Franceschini aveva studiato a lungo quello sciasciano “ominicchio” per far propri con ben altra eleganza i titoli dei giornali.
Così la Convenzione del PD (ma Convenzione in italiano significa “accordo”, “impegno”, più che “assemblea” e se volete chiamarla “convenscion” abbiatene il coraggio) è passata in secondo piano, oscurandola e probabilmente limando il numero dei votanti nelle imminenti primarie che la visibilità dell’evento doveva contribuire a lanciare. Brillavano così gli assenti, in attesa che le regole suicide che il PD si è dato per eleggere il nuovo segretario facciano il loro corso e, se tutto andrà come prevedibile il 25 ottobre, ne mineranno definitivamente la residua credibilità.
Perché suicide? Perché come è noto il partito ha eletto nel territorio un migliaio di delegati che sono andati ieri a rappresentare i tre candidati, ma non a votare. I bersaniani sono risultati essere il 55%, i franceschiniani 37% e gli ignaziani l’8%. Quei numeri sono lì per pesare, ma la retorica delle primarie per ora li lascia sullo sfondo. Il 25 ottobre tutti gli elettori del PD, e in realtà tutti gli italiani di centro-sinistra, sono chiamati ad un nuovo bagno di folla e di speranza, di Italia migliore e bla bla bla. Abbiamo già vissuto due volte, per Prodi e per Veltroni, la trasformazione delle primarie in plebiscito, ma questa volta non andrà così. Purtroppo.
Purtroppo perché se non ci sarà un vincitore con la maggioranza assoluta allora chi deciderà sarà il Congresso che, senza considerare il voto delle primarie, ha di fatto già eletto Pierluigi Bersani. “Vogliamo fare le primarie ma anche un Congresso vecchio stile” è stata la gran pensata del politburo ed ecco che riemerge il fantasma di Don Walter Veltroni. Questo ieri, da Fabio Fazio (coincidenza?), ha brillantemente risolto il dilemma di “Ecce Bombo”, riuscendo a farsi notare di più non andando.
In conclusione le primarie in programma tra due settimane possono darci i seguenti risultati:
1) Pierluigi Bersani vince bene le primarie confermando o migliorando il 55%. Il Congresso si limita a ratificarlo e solo in questo caso il meccanismo funziona.
2) Bersani vince le primarie di stretta misura (in otto regioni su venti non ha la maggioranza assoluta neanche tra gli iscritti). Il Congresso lo ratifica ma la maggioranza degli elettori resta con l’amaro in bocca per aver votato un candidato perdente. Tanto più Bersani resta sotto la maggioranza assoluta tanto meno è forte e diventa un segretario espressione del politburo ma entra in carica già con uno iato rispetto ad una base scettica.
3) Dario Franceschini (o meno probabilmente Ignazio Marino) vince con la maggioranza assoluta. Il Congresso lo ratifica ma il nuovo segretario resta minoranza negli organi di partito aprendo una frattura. Il segretario e la base da una parte e il partito dall’altra.
4) Franceschini (o Marino) arriva primo con maggioranza relativa. E’ lo scenario, altamente probabile, da incubo perché il Congresso ratificherebbe comunque Bersani, ribaltando il voto delle primarie e creando una frattura insanabile tra elettori e partito. Sarebbe la conferma che il PD concepisce le primarie solo come un plebiscito e un simulacro di partecipazione e, se gli elettori vogliono qualcosa di diverso, allora il politburo va avanti per la sua strada.
E’ questo lo scenario suicida creato dal compromesso tra partito all’americana veltroniano (rappresentato da Franceschini) e partito da bottegone e festa dell’Unità (Bersani). I delegati sono stati eletti a monte e stanno lì nell’ombra come il maggiordomo in un giallo di Agatha Christie ad aspettare le primarie per poi completare il loro lavoro che, se dovesse smentire il voto delle primarie, da legittimo diventerebbe sporco per i più.
Purtroppo per loro l’esito delle primarie è tutt’altro che scontato e non è escluso che, soprattutto se il numero dei partecipanti non sarà enorme, gli “infiltrati”, elettori dipietristi, grillini, della sinistra radicale, o altri (perfino dal PdL), possano incidere molto sul totale. Ignazio Marino, inizialmente sconosciuto ai più, è in grande crescita. E’ arrivato primo nel centro di Milano anche se non esiste al Sud (0.7% in Sicilia). Secondo alcuni scenari può più che raddoppiare i suoi voti sfiorando il 20%, imponendo al partito la sua agenda politica fermissima sulla questione della laicità che Franceschini (che per ora batte Bersani solo in Sicilia e Friuli) non può condividere e che lascia agnostico Bersani.
Quelli di Marino saranno voti sottratti a Franceschini? Solo in parte, ma i franceschiniani cercano di far circolare l’idea del voto utile e quindi che sia meglio votare per il segretario piuttosto che per Marino. E’ un’idea che potrà avere un peso come quella che Franceschini rappresenterebbe il nuovo e Bersani il vecchio. Qualcuno poi magari può provare a spiegare perché e se è davvero nato prima D’Alema di Veltroni. Soprattutto se Franceschini dovesse puntare sull’elemento del nuovo e dovesse aver ragione il patatrack sarebbe fatto.
Cosa succederebbe per esempio se a Franceschini riuscisse un forte recupero e prendesse il 49% mentre Bersani si fermasse 7-8 punti sotto? Come si fa a spiegare agli elettori che magari si sono emozionati con la “canzone popolare” che il loro voto non conta nulla?
Di sicuro nessuno può scommettere che tra iscritti ed elettori del PD ci sia una sintonia tale da confermare il risultato dei circoli e così la balena rosa si avvia allo spiaggiamento. Spiaggiamento perché dopo il fallimento di Veltroni e l’interim di Franceschini solo un segretario politico forte e pienamente legittimato può affrontare la difficilissima battaglia politica che ha di fronte.
Franceschini pensa legittimamente che la partita sia tutta da giocare. E’ bene in democrazia che sia così. Ma per la credibilità del PD e per colpa delle regole che questo si è dato, sarebbe meglio se così non fosse. In fondo, rispetto ai due o tre milioni che voteranno il 25, i delegati in sala ieri erano solo mille piccoli indiani. E come sanno tutti i lettori di gialli, “poi non ne rimase nessuno”.