La sentenza del TAR del Lazio sulle graduatorie dei precari mette a nudo l’ipocrisia della retorica del merito del ministro bresciano Mariastella Gelmini. Spieghiamola in poche parole per i non addetti perché è importante. Secondo logica chi ha più merito (titoli, esperienza), ovvero più punteggio (ammesso e non concesso che il merito si possa pesare), va ai primi posti della graduatoria alla quale aspira ad entrare e quindi passa avanti a chi ha meno merito di lui.
Si possono cambiare, verificare, aggiustare i criteri con i quali si attribuiscono i punti, ma non il principio generale per il quale dopo aver calcolato il merito questo venga fatto valere. Sulla base di tale principio se Tizio, che ha più punti di Caio, vuole insegnare nella provincia X, evidentemente il primo posto sarà per Tizio e solo quello successivo sarà per Caio. Altrimenti che vantaggio ha Tizio nell’essere più bravo di Caio?
Qui casca l’asina, quella che se ne andò da Brescia a Reggio Calabria a far gli esami perché era più facile.
Se facciamo così (tecnicamente si chiamano “graduatorie a pettine”) i capaci, meritevoli e disposti a spostarsi finiscono per trovare lavoro. E’ la logica americana quella per la quale la gente si deve spostare per andare dove il lavoro c’è, mentre i mammoni o bamboccioni stanno a casa. Ma nell’Italia dell’immobilismo, sociale, localista, economico, chi si sposta per lavoro va visto sempre con sospetto.
“Non è giusto -afferma infatti testualmente Gelmini che di merito e meritocrazia si riempie la bocca tutti i giorni- che chi arriva all’ultimo momento passi avanti [solo perché se lo merita] a chi si aspettava finalmente di entrare”. E quindi l’asina, la “Beata ignoranza” raglia e fa le “graduatorie a coda”. Con le “graduatorie a coda” i titoli, l’esperienza e tutto quello che viene considerato merito passa in secondo piano rispetto al presunto diritto di chi è è del posto a passare avanti a chi viene da fuori.
Gelmini compiace una volta di più la smania leghista di fermare le orde di insegnanti meridionali che mandano avanti la scuola a Nord come a Sud, quasi sempre con merito, dedizione e sacrificio. Qualche volta il merito non c’è, ma non esiste altro merito che verificarlo caso per caso e mai per generalizzazioni. Ma al ministro Gelmini non importa e in ogni caso ricacciando indietro in graduatoria chi ha solo diritto di lavorare per favorire i compaesani della Padania immaginaria non puoi verificarlo.
Con questa cultura (ma l’altro sproloquiatore meritocratico Renzo Brunetta che che pensa?) è evidente che (per esempio) in qualunque concorso universitario il candidato interno, che sta lì da 10 o 15 anni a presidiare la sedia e far… fotocopie per l’ordinario di riferimento, abbia diritto di non farsi scavalcare da chi viene da fuori e vuole il suo posto solo perché più preparato. E difatti Gelmini sta per abolire i concorsi per sostituirli con la chiamata diretta.
Ma non illudiamoci che sia Gelmini l’orco arrivato a smantellare il merito che regna nella scuola. In maniera molto simile a Gelmini in termini di de-merito la pensano i sindacati, soprattutto la CISL ma anche la CGIL. Quando che come primo atto da Ministro chiuse le SSIS, le scuole di specializzazione dei laureati per ottenere l’abilitazione all’insegnamento, che premiava il merito dei giovani nello specializzarsi, i sindacati non mossero un dito e, magari senza farne una questione di sangue ariano, hanno sempre privilegiato i precari di lungo corso rispetto ai precari bravi.
Esattamente come Gelmini ragionano con la logica del “prima sistemiamo quelli che è tanto che aspettano e che c’hanno famiglia (e se sono scarsi e seduti e danneggiano i ragazzi non importa). Solo poi vedremo i giovani, pieni di energie e bravi”. Essendo purtroppo i giovani meno sindacalizzati dei vecchi, soprattutto la CISL (vero Fioroni?) ha sempre fatto la guerra alle SSIS che aveva il torto di scalzare, con personale scolastico migliore, i propri iscritti. Gelmini dunque fa solo un altro passetto verso l’abisso. Lei privilegia quelli scarsi ma padani, o meglio padani e scarsi contro quelli bravi (terroni o meno a noi non importa), ma almeno ci risparmi la retorica del merito.