Botta e risposta tra diplomazia argentina e statunitense. Gli Stati Uniti bacchettano sui rapporti con Hugo Chávez e l’Argentina rispedisce al mittente: “inaccettabile”. Ecco tutti i dati di un’Argentina che da quando ha rotto le relazioni con l’FMI si fa ogni giorno meno povera.
La scorsa settimana, ricorderete, Hugo Chávez aveva presieduto nello stadio del Ferro, a Caballito, piena Buenos Aires, un atto politico pubblico (nella foto) davanti a decine di migliaia di persone, critico nei confronti di George Bush mentre questo stava chiuso in ambasciata a Montevideo, sull’altra sponda del fiume dell’argento. La stampa mondiale aveva parlato di competizione tra i due leader più esposti del continente latinoamericano, per il quale Bush faceva un “tour anti-Chávez” e questi replicava con un “tour anti-Bush”.
Normale dialettica politica, ma mentre la diplomazia venezuelana non si è sognata di protestare contro chi ha ospitato Bush, quella statunitense ha ritenuto di avere diritto di bacchettare chi ha permesso a Chávez di esercitare la propria libertà di espressione. Nicholas Burns, il più stretto e diretto collaboratore di Condoleeza Rice, in maniera diplomaticamente irrituale, davanti a oltre cento persone, giornalisti, diplomatici, accademici, ha apostrofato l’ambasciatore argentino a Washington, José Octavio Bordón: “non consideriamo corretto che abbiate concesso lo stadio a Chávez”. Il quotidiano conservatore argentino La Nación da giorni ventilava il malessere statunitense, ma lo stesso quotidiano è rimasto spiazzato quando questo è sbottato in una ramanzina pubblica e ufficiale (altro che le “fonti anonime” che hanno fatto tremare l’Italia come un fuscello per il caso Mastrogiacomo). L’uscita di Burns è una testimonianza del ben poco anglosassone nervosismo statunitense, sempre meno capace di controllare i propri satelliti. Ma ancora più significativa è stata la replica di Bordón: “Le ricordo che sia Nestor Kirchner che Hugo Chávez sono due presidenti eletti democraticamente e che il Presidente Chávez ha goduto in Argentina della libertà di espressione che sta tanto a cuore al suo paese”. Burns ha allora attaccato duramente Chávez, definito “un uomo del passato”, ma la polemica è stata chiusa più tardi dal ministro degli esteri argentino Jorge Taiana, in viaggio a Quito per incontrare Rafael Correa. Taiana è stato durissimo: “è sorprendente ed inaccettabile che si critichi e si giudichi scorretta una manifestazione popolare realizzata tra la società civile e un presidente latinoamericano. La manifestazione è una dimostrazione della libertà di espressione propria di ogni paese democratico. Se sia o meno corretta un’azione politica argentina, solo gli argentini hanno diritto di giudicarla”. Piglia, incarta e porta a casa.
Non sorprenda tanta durezza nella risposta argentina. Da quando sono state rotte le relazioni con il Fondo Monetario Internazionale, le cose nel paese australe vanno sempre meglio. La redistribuzione è una priorità, il salario minimo è stato aumentato, i piani sono risultati efficienti, i sindacati hanno recuperato il loro ruolo nella contrattazione collettiva e quindi oggi i salari crescono del doppio dell’inflazione. Secondo dati ufficiali diffusi ieri, in meno di due anni gli indici di povertà sono passati dal 33.8 al 26.9%. Si era al 54% quando è crollato il sistema neoliberale. Anche l’indigenza è in discesa. Oggi è all’8.7%, due anni fa era al 12.2% ma a maggio del 2003, quando arrivò Kirchner al governo al massimo della crisi, questa era al 27.7%. Secondo il Ministero dell’Economia solo nell’ultimo anno 2.3 milioni di persone sono emerse dalla povertà (8.7 milioni dal 2003) e 1.3 milioni dall’indigenza (6.3 milioni dal 2003).
Sono dati eccellenti ma che non nascondono le dimensioni ancora terribili del problema della povertà argentina in gran parte causato dalle conseguenze del lungo inverno neoliberale. I poveri sono ancora 10 milioni, più di un quarto della popolazione e gli indigenti superano ancora i 3 milioni. In alcune regioni la situazioni è ancora gravissima e in tutto il nord si supera il 40% di povertà contro il 6-7% delle province dell’estremo sud antartico. I dati considerano povera quella famiglia (coniugi e due figli) dove entrino meno di 900 pesos, circa 270 €uro mentre si considera indigente quella famiglia dove non si arrivi ai 415 pesos, circa 125 €uro. E tra l’indigenza e la povertà continuano a stazionare quel 43% di salariati che continuano a lavorare in nero e che non arrivano a 500 pesos al mese, circa 150 €uro. Ma l’Argentina è in cammino, come tutta l’America Latina.
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