Dopo due giorni di conversazioni in Costa Rica tra la delegazione dei golpisti e quella del governo legittimo dell’Honduras, nella quale ognuno accusa l’altro di essere un criminale e di meritare di andare in carcere o peggio, le cose non si sono spostate di un centimetro. E non spostarsi di un centimetro vuol dire che i golpisti guadagnano terreno, si stabilizzano, guadagnano legittimità, vedono il fronte internazionale perdere unità d’intenti.
Tanto è vero ciò che i golpisti propongono un nuovo incontro tra otto giorni, un’eternità per chi in ogni angolo del paese da due settimane è mobilitato contro il golpe e, nonostante cresca e si radicalizzi la resistenza popolare, sta subendo i colpi sempre più duri della repressione. L’ultima su questo fronte è l’arresto da parte di un commando golpista di José David Murillo, pastore protestante, dirigente ambientalista ma soprattutto padre di Isis Obed Murillo, il ragazzo di 19 anni assassinato domenica scorsa.
Dall’Honduras il Fronte Nazionale di Resistenza al Golpe, che ha appena bloccato per oltre due ore la strada più importante del paese, è il primo a bocciare le riunioni di San José: “il dialogo in Costa Rica è una tattica per prolungare il conflitto, una strategia per allungarlo e indebolire la resistenza”. Mentre la diplomazia internazionale è incapace di sbloccare la situazione, la sorte della democrazia in Honduras è sempre più nelle mani del suo popolo che da due settimane non smette di resistere e di forgiarsi all’unità della lotta antigolpista tra movimenti sociali, popolari, sindacali e indigeni.
Ma per Óscar Arias, l’ex presidente costaricano e premio Nobel scelto come mediatore va bene così, l’importante era sedersi intorno a un tavolo pacificamente e poco importa che in Honduras non c’è pace.
Intanto il governo degli Stati Uniti, che quelle conversazioni sterili ha voluto e ha finora governato, pur giocandosi la faccia, sembra star agendo con tempi ancor più lenti di quelli dell’assassino di Bergamo alta, Roberto Micheletti. Secondo l’analista della BBC Robert Scanlon “è vero che il governo statunitense, dopo aver condannato senza possibilità di fraintendimenti il golpe, tiene in mano i fili sui quali la giunta golpista può resistere. Ha infatti tagliato alcuni aiuti economici, ma c’è molto di più che può essere fatto da Washington e questo di più può davvero obbligare i golpisti a fare un passo indietro”.
La BBC è in buona sostanza d’accordo con il presidente venezuelano Hugo Chávez che, forse per la prima volta, si è trovato in una crisi internazionale a stare dalla stessa parte di Washington, ma che considera “troppo timida” l’azione statunitense ed è stato il primo a rompere gli indugi, sommarsi alle voci provenienti dalla resistenza interna al golpe e considerare il dialogo in Costa Rica “un grave errore”.
Gli argomenti del presidente Chávez danno, come spesso succede, pane al pane in maniera stridente per i barocchismi della diplomazia internazionale: “Il dialogo con i golpisti honduregni è una trappola per la democrazia, un pericolo e un grave errore per l’Honduras e per tutto il continente americano”. Chi ha vissuto sulla propria pelle un golpe, l’11 aprile 2002, e ha all’interno del proprio paese ancora una parte rilevante dell’opposizione che considera un colpo di stato una soluzione praticabile al “chavismo”, si rende conto che se il tempo dei gorilla torna per l’Honduras allora può tornare anche per paesi ben più solidi di questo.
Allo stesso tempo, anche se il dialogo è stato voluto unilateralmente da Washington, facendolo accettare al concerto latinoamericano dopo il fallimento dell’operazione rientro di Zelaya, nella quale si erano esposti in particolar modo l’OSA, con il proprio segretario generale José Miguel Insulza, l’ONU, il presidente brasiliano Lula e lo stesso Chávez, la bocciatura del dialogo stesso da parte dell’influente presidente venezuelano, che fornendo petrolio a prezzo politico all’Honduras permetteva per la prima volta nella storia a questo paese di tener testa agli interessi delle multinazionali, rischia di aprire delle crepe nell’unitarietà del fronte antigolpista internazionale.
Per il portavoce di Hillary Clinton le affermazioni di Chávez sono premature e il dialogo non è [ancora] fallito. Forse ha ragione, ma alle domande di Chávez non ha voluto o saputo dare risposta: “se siete così fermi in difesa del governo legittimo perché siete praticamente gli unici a non aver ritirato l’ambasciatore da Tegucigalpa? Perché non fate tutto il possibile in tema di pressioni economiche?” Se Micheletti resta al potere non è certo Chávez ma il governo di Barack Obama a giocarsi la faccia.