Faccio una gran fatica a trovare sulla mia bacheca Facebook un solo post che parli di Iraq, degli yaziri, del ‘califfato’ o almeno delle guerrigliere del PKK, delle quali potrei innamorarmi in blocco. Praticamente tutti quelli che fino a ieri avevano posizioni trancianti su Gaza (non importa quali) e che in genere sono persone più informate e sensibili della media, tacciono.
Posso anche capire perché: estrema complessità, scarse informazioni attendibili veicolate quasi senza alternativa da un mainstream senza dignità (saranno veri i sepolti vivi?), l’infamia della follia neoconservatrice e il tramonto di primavere arabe nelle quali identificarsi, un malinteso percepire i cristiani dall’Iraq alla Nigeria non come minoranza calpestata ma come quinta colonna del colonialismo, la difficoltà oggettiva di applicare paradigmi ideologici e quindi identificare buoni e cattivi e ingranare la quarta.
Eppure, almeno rispetto all’ISIS, sorta di nazisti dell’Illinois che cumulano incubi millenari, à mon avis, non dovrebbe essere difficile assumere un atteggiamento dicotomico ben più deciso di quello pro o contro Israele, pro o contro Hamas. Eppure non succede. Nel XX secolo perfino Roosevelt e Stalin seppero stare insieme quando bisognava stare insieme. Oggi sembra impossibile.