Allego, con un certo ritegno, visto che mi pregio di considerare Giornalismo partecipativo un sito onorato, il pezzo pubblicato da Il Giornale di mercoledì scorso, a firma Ida Magli, dall’eloquente titolo: Vietiamo agli immigrati di comprare case e terreni. Non lo allego per farsi quattro risate di fronte all’accozzaglia di luoghi comuni e di deliri razzisti. Allego allora l’articolo perchè Ida Magli è da considerarsi un’intellettuale (sic) di riferimento del nuovo governo che sta per insediarsi.
Nel leggerlo si ha la sensazione di essere all’inizio di un’escalation; a quando la proibizione dei matrimoni misti? Dopo che il Sindaco di Milano, Letizia Moratti ha cercato di espellere bambini dagli asili manca poco, anche perchè Ida Magli introduce concetti importanti nella storia del nazionalismo che si fa razzista tra Otto e Novecento come quelli di "sacralità e purezza". Dalla terra al sangue e al blut und boden, il passo è brevissimo.
L’articolo pubblicato da un quotidiano di proprietà della famiglia del presidente del consiglio entrante, Silvio Berlusconi, testimonia che nell’attuale maggioranza, a parole liberal-conservatrice, allignino invece culture totalitarie antitetiche con quella liberaldemocrazia capitalista alla quale dicono di far riferimento.
Onestamente non credo che un tale delirio possa compiersi neanche se facessero capo del governo Mario Borghezio, ma non per questo ci si può rassicure o ignorare che tali umori allignino nella pancia della destra di governo. E’ evidente che una parte della nuova maggioranza teorizzi nuove leggi razziali con le quali discriminare una parte sempre più importante dei cittadini che vivono in questo paese per "razza e religione".
Seguendo solo per un attimo il delirio razzista della Magli, come considerare le tenute e i casali acquistati da ricchi inglesi inglesi in Umbria o Toscana? O da ricchi statunitensi? E se fossero ricchi statunitensi di religione musulmana? Finiremo a considerare i quarti di purezza di sangue come si faceva nella Germania nazista? Ed è sicura la Magli che il mercato del falso "made in China" sia smerciato in Italia dagli africani? E dove finirebbe la cultura dell’intrapresa sbandierata da Berlusconi, se un lavandaio indiano o un ristoratore cinese deve pagare le tasse ma non può essere proprietario del locale dove si svolge la sua attività? E in una società di proprietari, l’operaio senegalese o egiziano, deve smettere di sognare una casa propria?
La Magli, nel suo delirio razzista, teorizza una società che rifiuta ogni forma di integrazione perchè il radicamento nel territorio dove si è scelto di vivere è la base di ogni integrazione possibile. Ma se quello della Magli è un delirio perchè un quotidiano della famiglia Berlusconi lo pubblica? Perchè pubblica un articolo nel quale si afferma necessaria una deroga dalle norme comunitarie (e dalla civiltà giuridica) che, Ida Magli lo scrive e ne è pienamente cosciente, ci metterebbe fuori dall’Europa e dal mondo civile?
Di fronte a tali deliri, la battaglia per la piena integrazione dei cittadini italiani di provenienza estera è quella decisiva e sta divenendo la frontiera tra una civiltà dei diritti e la barbarie di nuove discriminazioni razziali. Un articolo del genere, una volta di più, rende indispensabile rilanciare la battaglia per il ripristino del suffragio universale in questo paese, per la piena cittadinanza, e per i diritti elettorali, attivi e passivi dei nostri connazionali immigrati.
Vietiamo agli immigrati di comprare case e terreni
di Ida Magli
Genova non appartiene più ai genovesi. Il centro storico è stato comprato, un pezzo alla volta, un negozio alla volta, dagli immigrati africani, in maggioranza marocchini e tunisini, e i genovesi vi si sentono ormai stranieri; non osano quasi più attraversarlo, tanto meno passeggiarvi. Le moschee vi pullulano e nessuno può validamente opporsi all’erezione della moschea principale, di faccia al Duomo.
Firenze non appartiene più ai fiorentini. Il centro storico è stato comprato, un pezzo alla volta, un negozio alla volta, dagli immigrati africani e i fiorentini vi si sentono ormai stranieri; non osano quasi più attraversarlo. Ricchissimi «sceicchi» hanno acquistato i palazzi intorno al Duomo, anche quelli abitati da secoli dai discendenti di Dante. Evidentemente il Sindaco non vi ha trovato nulla da eccepire, e adesso ha la soddisfazione di affacciarsi dal suo ufficio sulle grida dei venditori e sugli effluvi di aglio provenienti dalle cucine musulmane. I negozi africani vendono ai turisti, sotto il naso dei fiorentini impotenti, borsette di autentico «cuoio fiorentino» conciato in Cina e, malgrado l’estrema battaglia ingaggiata da Oriana Fallaci, le moschee prosperano al pari dei commerci.
Roma non sta meglio. Gran parte del centro, a cominciare dalla Basilica di S. Maria Maggiore fino a Piazza Vittorio e a S. Giovanni, appartiene agli immigrati, soprattutto cinesi e africani (ma a Roma sono presenti quasi tutti i gruppi etnici esistenti al mondo). Comprano tutto quello che possono, convincendo facilmente i proprietari con l’abbondanza di denaro contante che possiedono, senza dilazioni o mutui, cosa che nessun italiano può permettersi. I cinesi, poi, sono silenziosissimi. Non salgono quasi mai alla ribalta delle cronache perché obbediscono, senza osare lamentarsi, a una disciplina ferrea, lavorando in modo disumano, al di fuori di qualsiasi normativa igienica e sindacale. Quando si ammalano o quando partoriscono ricorrono alle cure di un proprio medico allo scopo di non far scoprire il loro numero effettivo. Ci si accorge della loro presenza soltanto dalla lingua delle insegne. La questione delle insegne dei negozi, del resto, è di per sé indicativa del disprezzo dei Sindaci verso la propria città. Neanche i benemeriti Sindaci di Roma, tanto solerti verso la cultura, hanno ritenuto doveroso imporre ai nuovi padroni almeno l’uso della doppia lingua sulle insegne dei negozi.
È urgente, dunque, emanare una legge che vieti l’acquisto di terreni, di edifici, di locali agli stranieri. Si tratta di una normativa talmente ovvia che esiste in quasi tutti gli Stati, anche in quelli africani dai quali provengono molti dei nostri immigrati acquirenti; la sua mancanza è sufficiente da sola a testimoniare della spaventosa indifferenza dei governanti verso il territorio italiano. Bisogna anche precisare che l’Italia ha l’obbligo di derogare, in difesa della propria esistenza, dalle normative riguardanti i cittadini degli Stati che fanno parte dell’Unione europea. Comportarsi come se l’Italia fosse un Paese uguale agli altri sarebbe stupido, oltre che falso, visto che venire in Italia è stato da sempre il sogno di tutti. Inoltre noi siamo troppi e il territorio italiano va salvaguardato dall’eccesso demografico non soltanto per la sua intrinseca fragilità ma anche per la sua bellezza paesaggistica.
Spetta al nuovo governo provvedere in fretta dato che nessuno ha dubbi sul fatto che il successo elettorale del centrodestra sia dovuto soprattutto alla insofferenza della maggior parte della popolazione nei confronti della immigrazione. Un’insofferenza che ha profonde motivazioni psicologiche oltre a quelle concrete e che si estende ad aspetti che di solito i governanti non prendono in considerazione quando si occupano della «sicurezza». Ma se è vero che gli italiani hanno deciso di riprendere in mano la propria vita e il proprio futuro provocando l’attuale terremoto politico, è perché non ne potevano più di non avere diritto a custodire il patrimonio che con tanta fatica hanno conquistato: la propria terra. Non ne potevano più di essere oppressi dalla invasione di stranieri e dalle conseguenze inevitabili che tale invasione porta con sé. Si tratta di conseguenze che vanno molto al di là del pur grave assedio dei crimini quotidiani. Nessuna «sicurezza» è possibile a un popolo che non possieda un territorio ben delimitato e chiuso, così come ogni individuo si sente al sicuro soltanto se possiede una casa nella quale nessuno possa entrare. L’Italia è diventata negli ultimi anni terra di approdo per chiunque. Ma un popolo è tale appunto perché possiede un territorio. I «confini» esistono e sono sempre esistiti, in ogni tempo e in ogni luogo, perché delimitano la sacralità dello spazio nel quale vive un determinato gruppo di uomini. Chi non sa che si deve mettere i piedi in un solco d’acqua per attraversare il confine di alcuni stati? L’acqua segnala appunto la necessità di una purificazione per entrare nel territorio altrui. Ma anche il «tappetino» davanti alla porta di casa segnala, sotto la debole razionalizzazione del pulirsi le scarpe, la sacralità del nostro territorio.
Ida Magli