Secondo l’ultimo rapporto della FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, con sede a Roma, nonostante tutti i miglioramenti di questi anni che hanno fatto passare il numero dei denutriti da 65 a 49 milioni, ancora l’8,3% della popolazione di America latina e Caraibi soffre di carenze alimentari o di fame. Cuba, Argentina, Cile, Messico, Uruguay e Venezuela i soli paesi esenti.
Sono 49 milioni di latinoamericani quelli che ancora vanno a letto con un buco nello stomaco, per non aver ingerito calorie sufficienti. Nel mondo le persone che soffrono di denutrizione sono 868 milioni. Erano arrivati a 65 milioni durante la notte neoliberale degli anni ’90, per scendere a 60 milioni nei primi anni del nostro secolo, ridursi a 54 milioni nel 2006, 50 milioni nel 2009 e scendere ancora in maniera più lenta ai 49 milioni di oggi, 7 dei quali nei Caraibi. È un cambiamento in positivo storico, soprattutto in relazione all’epoca del dominio del Fondo Monetario Internazionale e del «Washington Consensus», ma in via di rallentamento e comunque più lento delle urgenze di chi non ha l’indispensabile.
I paesi dove il fenomeno è più grave sono Haiti, con il 44.5% della popolazione, il Guatemala con il 30,4%, il Paraguay con il 25,5%, la Bolivia con il 24% e il Nicaragua con il 20%. Sei paesi al contrario, secondo la FAO, sono riusciti a sradicare la denutrizione, e sono Cuba, Argentina, Cile, Messico, Uruguay e Venezuela. Quest’ultimo ha colmato in fretta le proprie carenze dall’avvento della V Repubblica, si basa su di una costituzione partecipativa e, con il governo di Hugo Chávez, ha investito con forza i ricavi del petrolio pubblico per sradicare il 13% di denutrizione esistente. Lo stesso è successo in Brasile con i governi Lula e Rousseff, anche se importanti sacche di denutrizione continuano a essere presenti. Il dato attuale brasiliano è del 6,9%, un valore comunque più che dimezzato rispetto all’epoca neoliberale. Anche il sistema cubano, nonostante le croniche difficoltà e la bassissima rendita agraria dell’isola, continua a garantire la piena alimentazione di base a tutta la popolazione in una regione, i Caraibi, dove da Haiti alla Repubblica dominicana, si registrano ovunque valori catastrofici.
La FAO individua nelle politiche pubbliche (stigmatizzate in genere dai paesi occidentali come «populiste») il principale fattore che ha permesso la caduta del numero dei denutriti nel continente. Oggi circa 25 milioni di famiglie e 118 milioni di persone in 18 paesi beneficiano di aiuti condizionati da parte dello stato finalizzati a migliorare le condizioni alimentari, educative e di salute soprattutto dell’infanzia. In Ecuador tali aiuti toccano oltre il 40% della popolazione. Tali politiche dovrebbero portare, secondo le aspettative della FAO, a una riduzione costante dei dati di denutrizione che nel 2025, nelle intenzioni, potrebbero scendere ad appena il 2.5% del totale della popolazione. In pratica siamo a un terzo del cammino rispetto ai dati più terribili registrati nella regione in epoca neoliberale.
L’altra faccia della medaglia, ma non può rallegrare, è che un latinoamericano adulto su 5 è obeso. In particolare è obeso un messicano su 3, cifra seconda solo agli Stati Uniti, e sono obesi tre venezuelani su dieci. Cattiva qualità del cibo spazzatura e bibite zuccherate fin dall’infanzia riempiono la pancia e non fanno sentire la fame ma provocano altri danni.
Anche per povertà e indigenza il momento del cambio è coinciso col crollo di molti regimi neoliberali e l’avvento dei governi integrazionisti (anche se quest’ultimo non può essere considerato un dato esaustivo e la realtà è più complessa). Se nel 2002 gli indigenti nella regione toccarono i 100 milioni con 225 milioni di poveri, negli ultimi dieci anni 50 milioni di persone sono uscite dalla povertà e la metà di queste dall’indigenza (oggi i poveri sono 174 milioni e gli indigenti 73 milioni). La crescita economica della regione è stimata nel 2012 al 3,7% (Argentina 3.5%, Brasile 2.7, Cile 4.9, Venezuela 5, Panama 8%, il solo Paraguay mostra valori negativi) in decelerazione rispetto al 2011 (+4.3%) e al 2010 (+6%).
Nel rapporto dell’ONU due sono le principali cause della persistenza della fame nella regione. Da una parte vi è la gravissima disuguaglianza sociale e dall’altra l’aumento esponenziale dei prezzi degli alimenti base. Solo da giugno ad agosto 2012, sempre secondo la FAO, il prezzo del mais è aumentato del 25%, quello del grano del 26% e quello della soia del 20%, una spada di damocle puntata sulla sicurezza alimentare di decine di milioni di famiglie che le politiche pubbliche da sole non possono garantire.