Il documento delle cliniche di Ostetricia e Ginecologia delle quattro facoltà di Medicina delle università romane, La Sapienza, Tor Vergata, Cattolica e Campus Biomedico che prescrive, nel caso in cui un feto nasca vivo dopo un’interruzione di gravidanza, che il neonatologo debba intervenire per rianimarlo, “anche se la madre è contraria, perché prevale l’interesse del neonato” è del tutto pleonastico per almeno tre motivi.
In primo luogo è pleonastico perché sta parlando di pochissimi casi di scuola, estremi. L’aborto oltre i tre mesi viene effettuato solo per gravi malformazioni o per gravi rischi per la salute della madre. Ma dai tre ai cinque mesi, quando se ne concentrano la gran maggioranza, non c’è alcuna possibilità di sopravvivenza del feto. L’aborto oltre la ventunesima settimana di gravidanza riguarda di per sé un numero molto limitato di casi l’anno, e un numero limitatissimo di casi di sopravvivenza del feto che non è rappresentativo di alcun comportamento sociale.In secondo luogo il documento è pleonastico perché è del tutto evidente che se il feto sopravvive all’aborto viene a trovarsi in una condizione del tutto diversa, il che rende più che scontato, anzi del tutto ovvio quello che prescrivono i ginecologi romani. Ovvero hanno del tutto ragione, ma con questo avere ragione non spostano di una virgola i termini del problema.
Le gravidanze delle quali parlano (è il terzo punto) non sono “gravidanze indesiderate”. Anzi, sono gravidanze desideratissime ma a grave rischio alle quali si sottopongono per esempio molte primipare ultraquarantenni. Sono donne che desiderano il figlio e riscontrano malformazioni attraverso esami complessi come l’amniocentesi. La decisione dell’aborto è in questi casi sempre una scelta nella quale il parere del medico è decisivo.
Dove sono allora queste donne sulle quali indugia il documento? Dove sono le donne che sapendo che il feto è nato vivo pretendono che non venga rianimato? Dove sono queste donne Erode che di fronte ad un bambino nato vivo esigono espressamente di non rianimarlo?
Se esistono davvero se ne pubblichi la casistica. Ma semplicemente non esistono. Sono un parto della fervida e fervente fantasia della pubblicistica anti-194 che riesce a far giungere in prima pagina documenti che non aggiungono nulla come quello di oggi.
La donna-Erode è una parte fondamentale della pubblicistica anti-194. E quella donna che esprime “parere contrario” alla rianimazione dell’a quel punto neonato, calzerebbe a pennello -se esistesse- con l’immagine dell’infanticida voluta da Giuliano Ferrara e chi per lui. Ma quella donna non esiste.
Al contrario la pubblicistica cattolica nel tempo ha esaltato i casi di donne in odore di santità che hanno portato a termine gravidanze per lasciare poi uno o molti orfani nelle mani della divina provvidenza.
Se l’immagine dev’essere da una parte quella della donna-Erode che esige l’infanticidio e dall’altro della santa che preferisce morire pur di non abortire, è evidente che si è compiuta una scelta violenta. Una scelta dove non si vuole il dibattito ma uno scontro aspro che inquinerà -come se non lo fosse già abbastanza- tutta la campagna elettorale e poi continuerà a inquinare i rapporti tra Stato e Chiesa.