CIUDAD JUÁREZ – La mia mattinata juarense è stata rallegrata da due articoli che vorrei aver scritto di persona firmati il primo da Mazzetta e il secondo da Antonio Moscato e che invito a leggere.
Li completo col manifesto di un gruppo neofascista nell’immagine, e totalmente inventato nella citazione, pubblicato nell’articolo di Mazzetta, che è assolutamente funzionale a comprendere l’attuale situazione.
Nel primo articolo, quello di Mazzetta, si fa il punto sui rossobruni più propriamente provenienti dalla destra estrema e di come a questi riesca sempre più facile cooptare beoti di sinistra, alcuni anche molto noti. Neofascisti a volte saltati al comunismo più dogmatico, a volte semplicemente ridipingendo i vecchi simboli, riescono a tessere reti con spezzoni purtroppo non marginali della sinistra radicale, magari con sinergie (post)ideologiche e convergenze oggettive sull’interpretazione di una realtà per loro troppo complessa.
L’ultima volta che sono stati così ingenti queste contaminazioni tra destra e sinistra è stato alla vigilia della prima guerra mondiale, quando anche spezzoni importanti del movimento operaio vedevano nella guerra (che poi avrebbe gestato i fascismi) il “lavacro purificatore” rispetto alle pochezze dell’Italietta liberale e il grimaldello verso la rivoluzione proletaria, come in effetti successe, ma solo in Russia. Il più famoso tra loro, nel frattempo saltato del tutto dall’altra parte, fu il direttore dell’Avanti, Benito Mussolini. Oggi, nel mondo globalizzato, e senza rivoluzioni alle porte in Occidente, la storia si ripete in farsa e via Internet sposano seduta stante la tesi di qualunque complotto gli si presenti davanti, in genere attribuibile ai perfidi giudei deicidi. Così non sorprende che fino a qualche tempo fa un sito cult della sinistra radicale, Comedonchisciotte, permetteva di scaricare l’edizione completa dei Protocolli dei Savi di Sion. Nel nostro tempo nulla accade perché accade ma sempre e solo perché esseri considerano evidentemente superiori (i marziani posadisti, il Mossad o gli amerikani) hanno complottato che così fosse. Siccome in Ucraina o in Georgia ci sono state le rivoluzioni colorate finanziate da Freedom House allora ogni singolo movimento deve per forza essere eterodiretto e quindi: viva Assad, viva Gheddafi, viva Ahmedinejad novelli Marx, Lenin e Mao o in alternativa nuovi Hitler, Mussolini e Franco. Incapace di interpretare l’esistente, l’estrema (destra e sinistra in questo caso si toccano) tende a leggere sempre una sorta di piano segreto e mai un’evoluzione naturale di politiche economiche predatorie, quelle neoliberali, sfuggite agli apprendisti stregoni.
Pertanto l’11 settembre non sarebbe mai avvenuto se non come autoattentati. Bin Laden era della CIA e non è mai morto. Il povero Vittorio Arrigoni sarebbe stato –senza uno straccio di indizio- ammazzato dal Mossad perché Hamas, in quanto nemica del mio nemico, è intrinsecamente buona. Gli islamici a casa loro sono l’eroico muro contro il sionismo, a casa nostra… viva Borghezio. L’ultimo esempio è proprio la Libia. Gheddafi diviene un fulgido esempio di antimperialismo da difendere dal complotto giudaico-statunitense. Come si vede è l’estrema destra a condurre le danze ma all’estrema sinistra non repelle accodarsi. La cartina tornasole del rossobrunismo è proprio il disprezzo razzista per i migranti: cosa importa se Gheddafi li massacrava per conto di Maroni, lui è il nostro campione contro l’Amerika.
In questo aiuta a districarsi il punto di vista di Antonio Moscato che ricorda quanto dovrebbero essere considerate con trasporto le rivoluzioni arabe e quanto invece da sinistra siano trattate con pregiudizi di varia natura, da quello sulla frammentazione del paese, a quello sul fondamentalismo islamico alla presunta assenza di opposizione a Tripoli per finire con l’eterodirezione occidentale di tutto visto che Gheddafi –improvvisamente- aveva smesso di essere il “campione delle libertà”. Inoltre Moscato ricorda dettagli non trascurabili come la marginalità dell’impegno NATO in Libia (il che non vuol dire non criticarlo). Insomma: per la prima volta in decenni una rivoluzione in un’intera regione del mondo sta avvenendo sotto i nostri occhi, pur nelle estreme difficoltà che tale processo comporta, e le sinistre, moderate e radicali preferiscono spaccare il capello in quattro, pregiudizialmente convinte che dalla riva sud del Mediterraneo possano venire solo grane.
Uno degli schematici argomenti dei difensori di Gheddafi è la posizione dell’America latina e in particolare di Hugo Chávez. Su tale schematismo ho ampiamente scritto lo scorso febbraio in un articolo che ebbe ampia diffusione ed al quale rimando. Il prisma delle migliaia di chilometri di distanza e alcune considerazioni propagandistiche impediscono perfino di leggere Francia al posto di Stati Uniti come paese che ha imposto l’intervento.
E qui torniamo al manifesto del gruppuscolo rossobruno dell’immagine di apertura pubblicata da Mazzetta. La citazione per la quale Chávez si ispirerebbe a Mussolini è falsa, totalmente falsa e ovviamente diffamatoria. Nel pantheon degli ispiratori di Hugo Chávez c’è semmai Antonio Gramsci –ripubblicato continuamente in questi anni in Venezuela e citato ripetutamente dal presidente- e non certo Benito Mussolini. La destra eversiva venezuelana –questa sì parafascista e golpista ma che si autodefinisce democratica per succhiare milioni da USAID- ha comparato spesso in questi anni Chávez a Mussolini, spesso a uso e consumo dei media occidentali. Un neonazista e antisemita dichiarato come Alejandro Peña Esclusa nel 2007 venne addirittura accolto in Vaticano spacciandosi per “capo dell’opposizione moderata”.
Strano meccanismo: gruppi di estrema destra eversiva venezuelani regalano a gruppi di estrema destra italiana Hugo Chávez come campione del mussolinismo antiplutocratico redivivo. Ovviamente chi conosce il caos creativo della rivoluzione bolivariana non può che farsi grasse risate rispetto al presunto totalitarismo chavista. Allora il Chávez che in questi anni ha fatto da parafulmine alla fase terminale dell’era del “Washington consensus”, sconfiggendo un golpe, lavorando con gli altri paesi della regione al rifiuto dell’ALCA e che continua incessantemente a lavorare per un mondo multipolare e per l’integrazione latinoamericana e che ovviamente mai potrebbe appoggiare interventi stranieri come quello in Libia, tanto meno della NATO, diviene una sorta di maglietta del Che, buona per tutte le stagioni. Perfino per quelle più nere.