Una delle leggende nere vaticane vuole che il presunto avvelenamento di Albino Luciani, l’effimero papa Giovanni Paolo I, alla fine degli anni ‘70, fosse dovuto innanzitutto alla sua imminente apertura alla contraccezione. E’ una leggenda, ma torna in mente nel giorno dello choc per l’annuncio ratzingeriano dell’ammissibilità da parte della Chiesa cattolica dell’uso del preservativo per le prostitute, che si trova nelle anticipazioni diffuse del libro intervista con il giornalista e scrittore tedesco Peter Seewald.
Non è un caso allora che la maggior parte dei commentatori si affanni a circoscrivere la portata della scioccante e inattesa apertura di Joseph Ratzinger al condom. C’è in loro infatti la percezione dell’ebrezza di un abisso vicino. Il dogma è tale se assoluto, senza eccezioni, al di là della ragione e della ragionevolezza e, in qualche caso, del bene e del male. Transigere, anche minimamente, sul dogma vuol dire riaprire le porte al relativismo in quello che si rileverebbe un annuncio gravido di un indesiderato cambio epocale nella Chiesa cattolica.
Gli interi pontificati di Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger si sono infatti retti sull’impegno assoluto alla restaurazione anticonciliare del dogma contro il relativismo. Questo aveva portato la stragrande maggioranza dei cattolici ad una vita sessuale aperta, non dissimile da quella dei laici, e le donne cattoliche in Italia a votare in massa prima per il divorzio e poi per l’aborto. Nel breve volgere di una generazione mille tabù, dalla verginità della donna prima del matrimonio (quella dell’uomo è sempre stata relativa) alla programmazione della nascita dei figli in ambito familiare, hanno archiviato la morale preconciliare, quella con la quale sono state educate in via esclusiva ragazze cattoliche nate ancora negli anni ‘50 e in qualche caso anche successivamente.
Lo scontro tra la liberazione sessuale, incarnata dalla pillola che consegna alla donna, sottraendolo a dio, il controllo sulla propria fertilità e dal condom, che preserva dalla trasmissione di malattie sessuali, e la persistenza della morale tradizionale della Chiesa, è una delle caratteristiche dell’intera storia occidentale dal dopoguerra in qua. La considerazione della SIDA (AIDS nell’acronimo inglese in uso in Italia) come “punizione divina” per la dissoluzione di tale morale, invalsa in ambienti conservatori, ne è testimonianza.
Nei 32 anni che ci separano dalla morte di Albino Luciani il segno restauratore dei pontificati Wojtyla e Ratzinger ha quindi condotto un’epica battaglia contro alcuni tratti della nostra modernità dei quali la morale sessuale è uno dei simboli più evidenti. Ma tanto più forte è stato l’impegno vaticano in difesa del dogma tanto più il cattolicesimo laicizzato ha continuato ad interpretare e selezionare quanto veniva dalla Chiesa e a vivere la propria sessualità nel Secolo e non nel chiuso delle mura leonine.
In questo senso la portata mondiale dello scandalo sulla pedofilia dei preti ha indotto Ratzinger, anche solo per meglio difendersi, a passare da un comportamento omertoso e complice, quando non apertamente apologetico rispetto a personaggi come Marcial Maciel (che il wojtylismo avrebbe volentieri santificato in vita) ad una sorta di terzismo nel quale trova spazio un vergognoso (per alcuni) non rifiuto della giustizia terrena che finisce per essere anteposta a quella divina nel giudicare qui ed ora e non nell’aldilà i comportamenti degli ecclesiastici.
All’uomo Ratzinger non manca certo lo spessore intellettuale per riflettere sui limiti, sulla quasi marginalità della morale sessuale cattolica nella società contemporanea, sugli scarsi risultati di 32 anni di dogmatismo in merito, sul vicolo cieco e poco caritatevole imboccato dalla Chiesa in materia di fecondazione assistita (divenuta in Italia, con la complicità della politica, un diritto solo per i ricchi) e nell’appoggiarsi insolitamente alla scienza per giustificare il considerare il semplice embrione come portatore di diritti equivalenti a quelli della persona.
In questo senso il ritenere “un primo passo verso una moralizzazione” l’uso del condom non è semplicemente la ragionevole (anche se parziale) accettazione di quello che qualunque medico, sempre osteggiato dalla Chiesa, afferma da 20 anni, “meglio il preservativo che niente”. Rappresenta anche il cedimento, il primo segnale di una slavina, il trionfo della liquidità del relativismo rispetto alla graniticità del dogma, che l’ex-Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ha cercato per tutta la vita di impedire, forse senza riuscirvi.