E’ necessario riflettere sul ruolo di Fabio Fazio nell’intervista di domenica sera a Sergio Marchionne sul servizio pubblico. Abituato a commuoversi nel vedere in studio Michail Gorbaciov o Bill Gates e vendere libri e dischi presentando sempre i suoi ospiti come se fossero John Lennon o Alessandro Manzoni, nonché a ringraziare condiscendente tutti i suoi invitati come fossero il Mahatma Gandhi, Fabio Fazio è risultato totalmente inadeguato a fronteggiare un intervistato che usava quello spazio come un atto di guerriglia.
Non doveva forse Fazio ricordare che c’è una sentenza che dà torto a Marchionne rispetto ai tre operai di Melfi e che quello che è stato in trasmissione presentato come un dogma di fede (che i tre abbiano surrettiziamente bloccato migliaia di colleghi che volevano lavorare) è smentito da una sentenza della magistratura?
Non doveva forse chiedere da dove avesse preso quella statistica sulla produttività che mette l’Italia agli ultimi posti al mondo, presumibilmente dopo la Birmania e la Corea del Nord, e, quantunque questa fosse stata credibile, se tutto potesse ridursi a quel solo parametro?
Non doveva aver studiato Fazio per collocare adeguatamente affermazioni di Marchionne come quella sulle 29 auto per anno prodotte dai lavoratori italiani (contro 100 dei brasiliani) dimenticando che tale dato omette che la FIAT in Italia fa un uso massiccio a propria convenienza della cassa integrazione pagata dallo Stato impedendo ai lavoratori di produrre tutte le auto che potrebbero?
No, Fazio non doveva fare la controparte di Marchionne, né invitare Maurizio Landini della FIOM per contraddittorio e nemmeno può essere criticata la sua cortesia verso gli ospiti di “che tempo che fa”. Ma non poteva limitarsi a fare da spalla a Marchionne e non si può realizzare un’intervista a un capitano d’impresa così conflittivo facendo condurre a lui le danze dal primo all’ultimo momento e dimostrandosi impreparato a verificare, porre in prospettiva dialettica, precisare le affermazioni più importanti di questo. Mentre Marchionne era durissimo e lucidissimo, a momenti Fazio ha ricordato le interviste a Bettino Craxi del TG2 anni ‘80. Mentre Marchionne era “cattivo” nell’usarlo per fare i propri interessi, il buonismo veltroniano di Fabio Fazio si scioglieva come neve al sole.
Forse ha ragione Luciana Littizzetto a descriverlo come precocemente invecchiato e il suo genere dovrebbe essere l’intrattenimento leggero senza incursioni nella drammaticità della crisi italiana. Ma soprattutto, ancora una volta si conferma che non può essere appaltata la libertà di stampa ad una sparuta pattuglia di professionisti, per quanto bravi siano, che siano Fazio, Santoro, Floris o chi vi pare e che è necessario un modello che smantelli i monopoli mediatici, sia quelli che non ci piacciono sia quelli “buoni”. Come per Bruno Vespa, non abbiamo sposato Fabio Fazio finché morte non ci separi e non è detto che per i secoli dei secoli non ci sia nessuno meglio di lui per la prima serata di Rai3 nel fine settimana. Fabio Fazio era all’avanguardia quando nella Sampdoria giocavano Vialli e Mancini. Oggi che Vialli e Mancini hanno cambiato mestiere, Fabio Fazio continua a fare le stesse cose, ma questo modello televisivo ingessato non può prescindere dalla sua icona.