Alcuni fatti sono arcinoti, altri chissà. Almeno due domande ci frullano nella testa. Forse non avranno mai risposta, forse saranno superate dagli eventi, forse dare una risposta a entrambe potrebbe spiegare i risvolti del “trattamento Boffo” toccato in questi mesi a Gianfranco Fini.
In Via Princesse Charlotte, a Montecarlo, c’è un appartamento che vale 1.3 milioni di Euro, ereditato da Alleanza Nazionale da Anna Maria Colleoni, una “nobildonna fascista” (ossimoro, o forse no). Questo sarebbe stato venduto da Gianfranco Fini, titolare del brand AN, a una società offshore di stanza a Santa Lucia, un paradiso fiscale caraibico, per meno di un quarto del suo valore, 300.000 Euro e riaffittato al cognato Giancarlo Tulliani. Tutto ciò è noto e, nonostante la sgradevolezza del caso, non comporterebbe reati di sorta.
In via del Plebiscito, a Roma, c’è Palazzo Grazioli. Lì, quando è a Roma, abita, sempre in affitto, Silvio Berlusconi. Tale coincidenza comportò lo spostamento di ben 18 linee di autobus della città di Roma, oltre al viavai di prostitute procurate da Giampi Tarantini al capo del governo.
In Piazza di Monte Citorio, sempre a Roma, c’è Palazzo Montecitorio, dove lavora Gianfranco Fini in quanto Presidente della Camera dei deputati. Dopo aver diviso per tre lustri tutte le responsabilità di Silvio Berlusconi, Fini ha cominciato a distanziarsene presentandosi come leader di una destra moderna, legalista, critica verso le principali cialtronerie del berlusconismo. Quando la corda si è spezzata e il reprobo è stato sbattuto fuori dal PdL, contro Fini è stato messo in atto il cosiddetto “trattamento Boffo”, il sistematico linciaggio dell’avversario politico manipolando le carte e attuato da professionisti della materia come Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro.
Nonostante ciò, i finiani, messi in un angolo e costretti a fondarsi un partitino dall’incerto futuro, non staccano la spina e tengono in vita la mummia di Berlusconi.
Fin qui tutto questo è assodato. Ma almeno due domande sono lecite: è possibile che Gianfranco Fini abbia fatto un cadeau da un milione di Euro al cognato, regalandogli di fatto l’appartamento monegasco? Non è ragionevolmente possibile ed è strano che non si rifletta su questo aspetto. Il milione di Euro di differenziale tra valore della casa e prezzo dichiarato è scomparso? E’ stato un megasconto di Fini al cognatino incapricciato per l’oggetto? Non ci prendiamo in giro.
Eppure questa, in fondo, è la spiegazione che da mesi viene data dal Giornale e da Libero rispetto al caso. Fini ha regalato l’appartamento al cognato o, al più si è fatto raggirare da questo. Siamo sicuri che sia tutto qui?
Inoltre: perché mai Fini stesso, ma anche Italo Bocchino, Fabio Granata e altri finiani in vista, da una parte “parlano come Di Pietro” ma dall’altra giurano fedeltà alla maggioranza? Anche qui viene data una spiegazione esile esile, basata su di un ragionamento politico, che non tiene: siamo stati eletti nel centrodestra e lì restiamo.
Cosa ci può essere sotto allora? Sotto c’è la “cartolarizzazione” del patrimonio dei partiti, l’enorme valore economico delle proprietà immobiliari di questi. Spesso servono a tappare i debiti. A volte, soprattutto in casi particolari come quello di immobili all’estero, i soldi servono a costituire fondi neri che costituiscono una fiche politica indispensabile da giocare nella politica moderna. Ecco la verità che probabilmente potrebbe essersi ripetuta per innumerevoli immobili appartenenti a svariati partiti.
La vendita ad una società offshore dell’immobile monegasco non è avvenuta al prezzo ridicolo di 300.000 Euro. Più probabilmente, usando il segreto bancario, è avvenuta ad un prezzo molto più vicino al valore reale dell’immobile. In questo, probabilmente, un ruolo può averlo avuto Giancarlo Tulliani, ricompensato con l’affitto a prezzo di favore dell’appartamento al 14 di Via Principessa Carlotta. Oppure, semplicemente, l’affitto a Tulliani potrebbe essere stata una leggerezza di Fini.
La differenza, probabilmente meno del milione di Euro, è andata a costituire un capitale, gestito probabilmente dallo stesso Fini, non necessariamente per uso personale, anzi più probabilmente per conto del partito. Se è così, è pensabile che tale segreto, che riproduce i comportamenti dei Severino Citaristi dell’epoca di Tangentopoli, sia noto ad un gruppo ristretto di persone tra le quali qualcuno può aver venduto Fini a Berlusconi.
Se è così, allora, il “trattamento Boffo” per Feltri e Belpietro vuol dire usare solo una parte della storia (vera, falsa, verosimile), il caso Tulliani, contro Fini. Il resto è un segreto ben tenuto e viene conservato per il ricatto: i fondi neri nascosti dietro la vendita dell’appartamento. Se Fini davvero non avesse avuto nulla da nascondere, gli sarebbe stato facile scaricare Tulliani come squatter. Ma il “trattamento Boffo”, anche nella versione originale per l’ex-direttore di Avvenire, è un gioco più sottile, un vedo non vedo, dico non dico, nel quale menzogna e verità sono dosate con metodo. In fondo poco importa a Berlusconi “sputtanare” Fini per colpe infinitamente più veniali delle sue. Importa renderlo vulnerabile in un gioco shakespeariano mille volte ripetuto nella storia.
Così, non è più Fini a cucinare a fuoco lento Berlusconi ma viceversa. Logorare Fini ma farlo soffrire, non ammazzarlo, perché il prezzo in palio è il ricatto che obbliga i finiani, nonostante tutto, a continuare ad appoggiare il governo. Fine impero.
DISCLAIMER. Quanto affermato in questo testo non è suffragato da alcuna prova né testimonianza. E’ solo una supposizione di chi scrive intorno alla più antica delle domande: “cui prodest”?