Ci sono cose che fanno imbestialire.
Ieri ci sono stati i funerali di Gladys Marín. E’ stata una grande dirigente del partito comunista cileno, con una storia meravigliosa e tragica di lotta contro la dittatura di Pinochet, al fianco dei minatori, a fianco dei Mapuche, per i diritti e le libertà civili fino all’ultimo giorno quando il glioblastoma che l’aveva colpita l’ha avuta vinta. Si è scoperto -non era scontato’ che tutti le volevano bene e la stimavano bene oltre l’ingessamento maggioritario voluto dall’UDI e accettato supinamente dalla Concertazione che tiene il partito comunista ai margini della vita politica del paese. Ma non di questo voglio parlare.
In Italia un po’ si è detto di questo grande dolore testimoniato da un paese intero. Rispetto alla vera straordinarietà di una lottatrice come Gladys è sempre troppo poco. Ma mi spiegate perché, dal Manifesto a Repubblica a chissà chi altro, tutto hanno scritto di Gladys “pasionaria”. Pasionaria fu solo Dolores Ibarruri. In Cile nessuno ha mai chiamato Gladys “pasionaria”, neanche per sbaglio. Solo in Italia, una donna latina e comunista è per definizione sempre “pasionaria”. Stantio, ritrito, scontato, falso.
L’altro giorno ho litigato con la gente di Peacereporter (scadenti) perché si erano inventati per il pesidente uruguayano Tabaré Vázquez un orribile “medico rosso”.
Ma dagli stereotipi, dalle fette di prosciutto, che sono quelle che impediscono di vedere una realtà che cambia per appiattirci sempre sull’abitudine, quando ne usciremo?
g.